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  • Immagine del redattoreElena Tommaseo

Majnu Ka Tilla, il piccolo Tibet di Delhi che sta scomparendo

Nella piccola enclave cittadina si vive ancora il buddhismo tibetano


La prima volta che mi recai a Majnu Ka Tilla fu forse nel 2000. Ci andai per spedire un pacco da far recapitare a un'amica romana che viveva da anni a McLeod Ganj. L'avevo conosciuta qualche anno prima, una psicologa che lavorava nel programma di accoglienza dei profughi che scappavano dal Tibet oppresso e arrivavano in India dopo più di un mese di cammino fra le montagne fatto soprattutto nelle ore notturne per non essere visti e catturati. Tramite il conducente di uno dei tanti bus che partono ogni giorno da lì per l'Himachal Pradesh, le feci arrivare una bottiglia di olio di oliva e un pezzo di parmigiano che avevo portato dall'Italia. Allora Delhi ancora non mi aveva ancora svelato le sue meraviglie più nascoste e Majnu Ka Tilla fu una sorpresa.


Sopra e sotto, l'ingresso del quartiere New Aruna Nagar.


Come ogni metropoli, anche Delhi è una città multiculturale dal pluralismo religioso, e lo è da secoli se ripercorriamo la sua intrigante storia. In chiave moderna, a partire dal 1947, dopo aver ottenuto l'indipendenza dal British Raj, lo è diventata ancora di più.

Fra le diverse comunità, che hanno cercato di mantenere vive le proprie radici lontano da casa, c'è anche quella tibetana che ha la sua concentrazione maggiore in una piccola area nella parte Nord della città, a poche centinaia di metri dalla riva del fiume Yamuna. Questo quartiere è conosciuto con il nome di Majnu ka Tilla, o MT., dal soprannome che la gente della zona diede a un mistico sufi iraniano che lì si era stabilito, Abdullah. Siamo a cavallo fra il XV e il XVI secolo.

La storia racconta che il mistico si fosse accampato su una piccola collina ai margini del fiume, trascorrendo le giornate in meditazione e a digiuno, con la speranza di poter entrare in contatto con Dio: da qui la gente iniziò a chiamarlo "Majnu", che si potrebbe tradurre come uno “perso” a causa dell'amore. Un giorno Guru Nanak, il fondatore del Sikhismo, se lo trovò davanti durante una passeggiata: vedendolo emaciato e debole, lo benedisse suscitando nel mistico un tumulto che questi interpretò come l'illuminazione che così a lungo aveva cercato.

Majnu divenne un devoto discepolo del grande Guru il quale, colpito da tanta dedizione, predisse che un giorno il suo nome sarebbe divenuto immortale e per iniziare chiamò l'area Majnu ka Tilla, la collina di Majnu. In seguito, nel 1783, qui venne costruito uno dei Gurudwara (Tempio Sikh) più antichi di Delhi che prese a sua volta lo stesso nome (e di cui abbiamo già parlato qui).


L'area odierna di Majnu ka Tilla raggruppa tre piccoli insediamenti residenziali con un totale di 3.000-3.500 case, questo è interessante perché è così che New Delhi si è formata in generale, unendo i puntini... Nel caso di quest'area, il villaggio di Old Chandrawal fu il primo e venne costruito all'inizio del 1900 per dare alloggio ai lavoratori coinvolti nella costruzione dei maestosi edifici governativi britannici. Delhi infatti, nel 1911, divenne la capitale del British Raj.

Il secondo villaggio, Aruna Nagar, venne costruito per ricollocare persone provenienti da varie zone di Delhi Nord dopo l'indipendenza, alla fine degli Anni 40. Infine, in seguito all'occupazione del Tibet da parte della Cina nel 1959, e l'asilo offerto dall'India al XIV Dalai Lama e il suo Governo in esilio, sorse il terzo villaggio, New Aruna Nagar, in pratica un campo profughi tibetano. Il Governo Tibetano in esilio si trova a McLeod Ganj, nello Stato dell'Himachal Pradesh dove lo stesso Dalai Lama vive da allora.


La sagoma di Sua Santità il XIV Dalai Lama nel monastero di Delhi.

Mi piaceva molto camminare per le poche e strette viuzze lungo le quali si sviluppava il vivace e inusuale quartiere, infilato fra il fiume e la trafficatissima Outer Ring Road che conduce verso l'uscita Nord della metropoli.


La trafficatissima Ring Road vista dal ponte pedonale.

Le bancarelle vendevano le cose più curiose, si trovavano collane fatte di cubetti di formaggio secco e grigiastro, carne secca ed ogni sorta di cibo che non avevo mai visto. D'inverno i negozianti accatastavano pile di coloratissimi plaid, maglioni, giacche e scarpe che erano meno facili da trovare in altre zone della città. Abbiamo un po' l'idea che i tibetani e i nepalesi siano più all'avanguardia rispetto agli abitanti della pianura che fanno soprattutto uso di scialli e cardigan sopra ai soliti vestiti di cotone, come anche di calzettoni con l'alluce per poter continuare a usare i sandali infradito anche d'inverno.

I negozi che vendevano le thangka, una particolare forma d'arte pittorica tibetana, tenevano dei prodotti pregiati, oggi ho un po' la sensazione di visitare dei piccoli supermercati di gadget, magari made in China, come molti dei prodotti alimentari che si trovano nelle drogherie.


Un negozio di gadget di Majnu Ka Tilla.

Negli anni questo angolo caratteristico di Delhi e di Tibet ha perso molto del suo spirito originale, trasformandosi sempre più in un quartiere dove i giovani studenti indiani della vicina Delhi University, e qualche turista, si recano per fare un giro dei negozi, bancarelle, qualche libreria, café e per mangiare in leziosi ristorantini tibetani e nepalesi che fino a poco tempo fa erano più simili alle locande che ancora si trovano nelle località montane indiane.


Il tempio tibetano di Majnu Ka Tilla.


La ruota della preghiera. Più sopra, i lumini di burro.

I selfie in piazzetta, davanti al piccolo monastero buddhista e al tempio, è oggi d'obbligo per i giovani indiani fissati con i social media, così come quello presso gli adiacenti baracchini che smerciano i piccantissimi laphing, popolari involtini di pasta di farina di fagioli mung cotta al vapore, ripieni di spezie e poi tagliati in bocconcini che vengono serviti freddi con salsa di soia, o caldi in zuppa (sotto).



Però quel pizzico di atmosfera di paese un po' è rimasta, qualche settimana fa camminavo lungo la stradina principale e, passando davanti ad una piccola libreria, mi sono messa a curiosare fra i libri esposti su un tavolino fuori dalla vetrina. Ho scelto un libricino, ma la porta era chiusa e dentro non c'era nessuno. Stavo aspettando da una decina di minuti quando il negoziante accanto mi indica l'anziana proprietaria che stava arrivando da in fondo alla strada, questa però a un certo punto si ferma a chiacchierare amabilmente con dei conoscenti. Per non disturbarla decido di proseguire la mia passeggiata e fare l'acquisto al ritorno, ma dopo mezz'ora di nuovo trovo chiuso, ridendo il ragazzo del negozio di fianco mi dice che, dopo aver finito di chiacchierare, la libraia ha proseguito la sua passeggiata. Così ho passato i soldi del libretto sotto la porta e me lo sono messo in borsa chiedendo a lui di informarla.


Incontri, a destra la libraia.

Chi vive oggi a New Aruna Nagar sono soprattutto persone, circa 3.500, che appartengono alla seconda generazione e che del Tibet hanno solo sentito parlare attraverso le storie degli anziani e i libri. Di recente purtroppo il governo di Delhi ha incluso New Aruna Nagar nella sua lista di 895 “colonie da regolarizzare”, non so bene cosa questo potrà significare per i suoi abitanti, ma i cambiamenti sono già in atto e temo si andrà sempre di più verso l'omologazione.


Sulle rive della Yamuna, uno dei tre fiumi sacri indiani.

Oltre a questo quartiere Delhi ospita anche dei centri buddhisti fra i più importanti il Tushita Mahayana Meditation Centre e la Tibet House fondata nel 1965 dal XIV Dalai Lama per preservare e diffondere l'eccezionale patrimonio culturale del Tibet e per fornire un centro di studi tibetani e buddhisti. Un altro pezzo di Tibet che sta scomparendo è il Tibetan Market, che si trova a Janpath, una delle vie che partono da Connaught Place, fondato negli Anni 60 per offrire opportunità di lavoro ai rifugiati, è stato un importante centro per la conservazione dell'identità tibetana. Oggi gli artefatti non sono più all'altezza della qualità di qualche anno fa, ma vale sempre la pena andare a curiosare.


L'interno del tempio di Majnu Ka Tilla.

Tutte le foto sono di Elena Tommaseo ©.

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