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  • Immagine del redattoreMario Raffaele Conti

Tenetevi forte: la verità non esiste (anche se...)

Siamo ossessionati dalla verità assoluta. Chi più chi meno, tutti cerchiamo la verità assoluta nelle idee, nei guru, nei maestri, negli insegnanti, nelle filosofie, nelle religioni, nelle chiese, nei santi, degli scrittori, fino ai giornalisti (ritenuti colpevoli di non dire mai il vero), nelle televisioni. E siamo ormai così furbi, che dallo sbarco sulla Luna in poi, “sappiamo” che non ci dicono la verità, semplicemente perché abbiamo credute “Vere” le opinioni di altri che risultano più veri dei soliti santi, giornalisti, eccetera...


L'unica vera notizia è che la verità assoluta non esiste in questa realtà.


E potrei finire l'articolo così. Non c'è molto altro da dire, se non che qualsiasi sguardo sul mondo, sulla modernità, sull'antichità, sulla filosofia e sulla religione, è un punto di vista. In India si predicano i «darshana», i punti di vista (anche se poi anche lì - come ovunque - si razzola male), che sono le vie filosofiche extrareligionarie in senso stretto e che sono quelle che arrivano a noi, essenzialmente lo Yoga e il Vedanta. Ma sono punti di vista.


Nessuna religione del «Libro» (cristianesimo, islam e ebraismo) direbbe mai che il suo è un punto di vista. Gesù è la via, la verità e la vita e la frase, l'ha detta lui, e letta in senso letterale, diventa qualcosa di poco fraintendibile. Ma quello che pochi sanno è che esiste una scienza, l'esegesi, che studia i contesti culturali in cui le frasi sono state dette e questo spesso cambia le cose. Oppure, nel caso di Gesù, ci sono le interpretazioni yogiche (penso a Paramahansa Yogananda), che ha scritto due tomi sul Cristo yogico, visioni rifiutate dalla Chiesa al grido di «Gesù è nostro e solo noi possiamo dirimere le questioni». Ma questa è la parte oscura delle religioni, che invece sono necessarie alla natura umana, anche solo per il confronto o le riflessioni che ne derivano.


Fatto sta che anche nella vita comune siamo avvezzi a chiedere la verità altrui, perdonando e giustificando le bugie e gli inganni nostri.

Ma anche lo Yoga parla di verità, satya, uno dei fondamenti della via filosofica prospettata da Patanjali in Yogasutra; verità e onestà (asteya) addirittura... Ma di quale verità e onestà stiamo parlando?


L'unica verità è che può esistere una ricerca della verità ed è - in tutta onestà - la ricerca dell'autenticità del nostro essere. È la verità di chi siamo e non di chi pensiamo di essere. È la verità del cuore, come diceva Sant'Agostino: «La verità abita all'interno dell'uomo, non cercare fuori, rientra in te stesso». Inutile cercarla fuori, in istituzioni, persone, idee, amici o amori.

Lo diceva un padre della Chiesa. Aveva letto Patanjali? Potremmo pensare che non sia impossibile: secondo gli storici delle religioni Yogasutra sarebbe stato scritto nel IV secolo d.C. e Agostino è morto nel 430 e i contatti con l'India erano frequenti soprattutto nella Grecia classica; più realisticamente è la prova che i saggi di tutto il mondo sono arrivati come noi ora a comprendere il vero «a prescindere», cioè quell'anelito di ritrovarsi e ritrovare l'autenticità. E a unire, a congiungere, ogni parte di noi in un unicum che possa poi unirsi con il divino, con l'universo che batte dentro e intorno a noi.


Onestamente, osservare i sentimenti, le reazioni, i gesti e i pensieri reattivi; osservare che ripetiamo sempre gli stessi schemi mentali e fattuali, cosa che perpetra gli stessi errori di vita, porta a fare gli stessi incontri. Satya, la verità dello Yoga non ha a che fare con un credo perché lo yoga è esperienza, non fede. Noi crediamo a qualcosa che sperimentiamo. Sono i saggi che lo dicono: non credete a nulla che non abbiate sperimentato. Se facessimo sempre così, ci salveremmo dai falsi maestri e dai traumi spirituali: di queste esperienze è piena la Storia - nostra e altrui - e questo per il nostro vizio di accordare ad altri la conoscenza della verità che ci riguarda.


Secondo Swami Gitananda Giri, satya è «prestare attenzione alla veridicità e alla falsità dei nostri sensi, delle nostre percezioni e concezioni. (...) Il primo gradino verso la verità è divenire consapevoli del grado di affidabilità delle nostre percezioni e del nostro contatto sensoriale con il mondo».


Allora mi siedo ad ascoltare, a osservare, a percepire, quello che oggi - e sottolineo «oggi» - è autentico dentro di me. E a quanto questa percezione sia affidabile. So che domani sarà diverso (perché sono andato avanti o indietro, poco importa) e allora osserverò anche domani. E dopodomani. Finché qualcosa di nuovo appare, la consapevolezza di essere parte del moto delle stelle e dei pianeti e delle nebulose. E questo - per me - è la cosa più vicina alla verità che io possa immaginare.


Due (tra le molteplici) facce della verità (Museo Guimet - Paris)

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