«Woke» significa stare attenti alle ingiustizie in modo attento e consapevole. Ma quando diventa un'ossessione qualcosa si guasta
Sarà capitato anche a voi di non saper decidere da che parte stare riguardo a certe idee. Da una parte risulta troppo riduttivo appellarsi al «rasoio di Occam» (un principio metodologico che consiglia di scegliere la soluzione più semplice e sbrigativa, ndr), dall’altra c’è il rifiuto a “spostare la finestra di Overton” (la finestra di Overton definisce ciò che per te oggi è accettabile e deriva da un meccanismo psicologico per cui in futuro potresti accettare ciò che oggi non vuoi, ndr), allargando a dismisura la soglia dell’accettabile.
Un’idea che mi tormenta da tempo, anche se mi consola il fatto di essere in buona compagnia, è come gestire il politically correct, nella corrente declinazione woke.
Woke, letteralmente, significa sveglio, attento, consapevole. Significa, nella vita di tutti i giorni, essere all’erta nei confronti delle ingiustizie. Non far passare comportamenti offensivi nei confronti di gruppi sociali svantaggiati o minori. Il termine fu battezzato nel 2017, durante le manifestazioni del movimento Black lives matter, come invito all’opinione pubblica a svegliarsi e a rendersi conto delle enormi diseguaglianze sociali ed economiche esistenti fra i diversi gruppi della popolazione. E allora certo, come non essere woke! Come non schierarsi dalla parte di chi è rimasto indietro, di chi è fragile, emarginato, bullizzato! Però è successo che in pochi anni il “wokismo” è andato in corto circuito, generando non poche difficoltà proprio là dove, invece, avrebbe dovuto semplificare le cose.
Un esempio eclatante è quello dei film Disney, che per rimanere nel solco dell’ideologia woke hanno scelto (probabilmente più per ripararsi da cause legali da parte di movimenti e gruppi sociali che per nobiltà d’animo) di proporre storie pensando più all’inclusività che al divertimento in generale. Col risultato che, per non offendere nessuno, la saga di Star Wars è diventata un frullato di poche idee ben confuse.
Chi non ricorda la recente polemica sulla Sirenetta nera e sull’Annibale interpretato da Denzel Washington? E se da una parte le favole possono essere riscritte, come la mettiamo col falso storico? E con Biancaneve?
Ecco che talvolta il politicamente corretto diventa una camera in cui si muore per asfissia. O no?
Michele Serra, nella sua bellissima rubrica Ok boomer del 29 aprile, parla proprio del fatto che il termine woke oggi non indica più qualcuno con una sensibilità, ma qualcuno con un’ossessione. Cita diversi esempi di vita concreta su cui vale la pena di riflettere bene.
Il rischio che stiamo correndo è quello di buttare via l’apertura alla consapevolezza del wokismo originario e di trasformarlo in una «controcultura neo-discriminatoria, con qualche componente paranoica, e dosi massicce di intolleranza».
Qualche settimana fa Geppi Cucciari ha inscenato un simposio sull’impotenza maschile invitando in studio solo delle donne, in risposta - satiricamente - alla trasmissione di Bruno Vespa sull’aborto, nella quale erano presenti - per davvero - solo maschi.
Se da un lato fare una trasmissione sull’aborto con SOLI uomini è un errore madornale sotto dozzine di punti di vista, dall’altro escludiamo a priori che un uomo possa avere una sensibilità o un’esperienza professionale che lo avvicina a questi temi? Ovviamente Vespa avrebbe dovuto invitare delle professioniste esperte sull’argomento. E se facesse un simposio sull’impotenza maschile dovrebbe includere altrettante professioniste esperte sull’argomento. Insomma tutti dovrebbero scegliere gli ospiti in base al merito e non al genere; sono sicura che oggi è possibile trovare esperte ed esperti in ogni ambito del sapere. Come è possibile imparare a considerare finalmente gli altri come persone, prima che maschi o femmine, o altro.
Per tornare all’esempio della storia di Star Wars, secondo voi è vero che “non si scrive più con la libertà di prima”? L’inclusività a tutti costi è frutto di un’idea - ormai divenuta ossessiva- o è una necessità editoriale dalla quale le majors non sanno come smarcarsi?
Da una parte non si scrive più come prima perché non si può passare il resto della vita appresso a diatribe legali, ma anche perché la sensibilità è cambiata, e le nuove storie non possono più scriverle quelli con la mentalità precedente. A meno che non diluiscano il messaggio e ci mettano dentro le “quote” bianche, nere, cinesi, gay, etero… col risultato di produrre, il più delle volte, film deludenti sotto ogni punto di vista.
Ci vogliono autori nuovi, che abbiano il coraggio di proporre storie originali che parlino di grandi sentimenti universali. E se questo è possibile per le storie d’amore, nelle commedie le cose si complicano, perché molte cose che un tempo ci facevano ridere adesso sono ritenute, giustamente, offensive. Ma anche qui dipende dagli autori: vuoi far ridere? Puoi farlo anche senza offendere. Questione di bravura. Di cogliere quello che oggi fa ridere.
In questo campo c’è chi se ne frega del politicamente corretto, anzi lo sfrutta per i suoi spettacoli di satira, penso ad esempio a comici come Ricky Gervais, che hanno un pubblico e un successo enorme.
Ma allora chi ha ragione? I suscettibili o quelli col pelo sullo stomaco?
Io sono di ampie vedute, ma una Biancaneve cinese mi farebbe un po' storcere il naso. Il che significa che non sono poi di così ampie vedute. Tra l’altro sono libera di non andare a vederla.
Annibale nero è un falso storico, non credo che lo guarderò. Peggio per me, probabilmente mi perderò un bel film.
A volte siamo suscettibili perché osserviamo l’impoverimento delle proposte letterarie e artistiche rispetto al passato, a volte lo siamo perché facciamo resistenza alla società fluida, a cui non sentiamo di appartenere.
E allora ci salva solo l’essere svegli e consapevoli di non diventare chiusi e fanatici, di imparare a fluire insieme al mondo che ci circonda, anche se non lo capiamo. In una parola essere veramente woke.
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