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  • Immagine del redattoreMario Raffaele Conti

«Past Lives» e il liberarsi dal dolce veleno delle “vite passate”

Aggiornamento: 13 mar

Ci sono molte attese quando si entra in un cinema per vedere un film acclamato dalla critica come uno dei migliori dieci film del 2023 dal National Board of Review e dall'American Film Institute e che ha ricevuto cinque candidature ai Golden Globe e due candidature ai Premi Oscar.

È il caso di Past Lives, opera prima di Celine Song, 36 anni quest’anno, regista, sceneggiatrice e drammaturga sudcoreana naturalizzata canadese, che vive a New York col marito, lo scrittore Justin Kuritzkes.

 

Metacritic, una realtà che calcola la media delle recensioni di 52 critici, ha dato a questo film il punteggio di 94 su 100, cioè il “plauso universale". La rivista Best Movie ha posizionato il film al quarto posto dei migliori del 2023. Ottima la colonna sonora e la fotografia di Shabier Kirchner che a tratti sembra avere imparato la lezione di Gordon Willis, direttore della fotografia di molti film di Woody Allen tra cui Manhattan e Io e Annie, e del Padrino di Francis Ford Coppola.

 

La trama senza spoiler.

La storia del film ricalca quella della giovane regista, nata, come la protagonista (la brava Greta Lee), in Corea del Sud da genitori artisti, e trasferitasi a 12 anni prima in Canada con la famiglia e poi a New York per prendere la sua seconda laurea in Drammaturgia alla Columbia University.

La sua prima laurea è in Psicologia e lo si capisce guardando il film che racconta di una bambina non comune strappata alla sua vita di preadolescente e alla sua prima cotta, per seguire la famiglia oltre oceano. Lo si capisce perché il suo tentativo ben riuscito è quello di indagare sulla nostalgia di quel primo amore infantile, sull’uso molto comune di ritrovare sui social le persone per noi importanti della nostra storia lontana, per cercare di far rivivere e di rivivere il tempo passato. Le vite passate, appunto, come il titolo del film recita. Il film nei cinema è accolto da applausi, molte persone che conosco hanno consumato kleenex, altri si sono comunque beati di fronte alla poesia del racconto. Funziona. Eppure non so perché, mi chiedevo, a me sembrava un deja vu. E un motivo c’è.


ATTENZIONE: SPOILER!

Il vero tema del film non è tanto la storia di due amici che si ritrovano (lui è l’ottimo Teo Yoo) quanto piuttosto un argomento molto caro all’Oriente, quello della realtà della realtà, della consapevolezza della vita presente. Quando i due ragazzi cresciuti si ritrovano prima sul web e poi anni dopo dal vivo a New York, provano a far rivivere quel sentimento infantile. Ce la mettono tutta perché quell’affetto era stato importante per loro, ed è ancora lì, ma in modo diverso. Lei più pragmatica, lui più sognatore, lei ormai con una mentalità occidentale, lui ancorato a modi di pensare e a costumi coreani, toccheranno con mano il fatto che ciò che non è stato non può essere. E ciò che è stato non ritorna. E si delineano due atteggiamenti: una persona che si guarda indietro (lui) e prova a forzare il destino fino a insidiare il matrimonio di lei, e una persona consapevole che è andata avanti, che ha ben chiari i sentimenti nei confronti del marito, poco incline alla confusione emotiva, che prova nostalgia per l’infanzia perduta ma che, pur soffrendo, capisce che non si può tornare indietro e che il tempo è un caterpillar che modella il presente a nostra insaputa.


L'orma di un bambino. Foto di Anita S. da Pixabay.

FINE DELLO SPOILER, ora potete leggere…

È un tema appassionante quello delle vite passate, quello degli amori interrotti, quello della nostalgia di ciò che non è stato, appunto.

Mi sembrava un deja vu quel film, dicevo. Sì, perché nelle ultime lezioni di Raja Yoga parlavo proprio di questo, dei dolorosi sentimenti della nostalgia e dell’illusione che per Patanjali sono tra i pensieri ricorrenti più difficili da estirpare. Sono emozioni profonde che crescono e si annidano nella coscienza fino a divenire totem difficilmente scalfibili. Poi c’è la vita che ti dimostra che monsieur Patanjalì aveva ragione eccome, perché lui di psicologia ne sapeva parecchio.

Avete mai provato a rincorrere la fidanzatina del tempo che fu? Avete mai provato a far rivivere un sentimento che si era affievolito o era stato messo in archivio per enne motivi? Se sì, sapete quello che intendo. Se pensate che sia ancora possibile preparatevi a una possibile cocente delusione. Qualcuno mi porterà l’esempio di fulgidi amori in età matura con il primo fidanzatino del liceo e questi sono l’eccezione che conferma la regola. Per il resto dei casi vale quanto dimostrato dal film, cioè che il passato è relegato dalla vita in una casella specifica, l’emozione che fu non può essere resuscitata nemmeno dal dottor Frankenstein e la nostalgia è un sentimento dolce nella misura in cui non diventa una fede che produce un fallimento.

 

Quello che Past Lives conferma è che nulla può essere paragonato alla bellezza del momento presente e semmai il problema sta proprio nel riconoscerla questa bellezza, senza immaginare che il passato fosse più bello del qui e ora. Non è così, è un’illusione appunto (vikalpa in sanscrito). Se n’è accorta perfino Chiara Ferragni, emblema del materialismo senza freni, che l’ha confessato qualche giorno fa nella pur discussa intervista a Fabio Fazio: «Ho fatto tutto troppo velocemente, non mi sono mai fermata a vivere il presente. Sai quante volte il ricordo di qualcosa che ho vissuto era più piacevole di quando lo vivevo in quel momento?».

Un lampo di luce nella nebbia. Ed è di questo che si occupano essenzialmente il buddhismo, lo Yoga di Patanjali (non quello fisico contemporaneo), la spiritualità di Krishnamurti, il Tao… Troviamo tutto nei testi di Thich Nath Hahn. La memoria è una droga dolce e sottile che porta al dolore di non poter vivere ciò che immaginiamo nella nostra testa. Ci fa restare ancorati al passato e ci riduce delle statue di sale, come la moglie di Lot che sfuggiva da Sodoma nella Genesi (19, 26), incapaci di vivere appieno ciò che c'è, di lasciare lo spazio a ciò che deve ancora arrivare.


La statua di sale detta «di Lot» sul monte Sodoma.

Abbiamo tutti tante vite alle spalle. Io ne ho almeno quattro e di alcune il ricordo è dolceamaro. Nel percorso che ci è concesso ci sono dei momenti di stop, delle svolte significative, delle maturazioni o delle involuzioni che poi diventano evoluzioni. Niente è uguale a se stesso mai, eppure è questo che noi chiediamo alla vita per darci un’illusione (un’altra!) di immortalità, la certezza che tutto rimanga come ce l’avevamo nel cuore.

Ma non è così e, pur con grande fatica emotiva, se apriamo lo sguardo e la coscienza saremo ricompensati perché la bellezza di gustare quello che la vita ci concede adesso, non vale nessun ricordo. Per quanto dolce sia.

 



 

 

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