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  • Immagine del redattoreMario Raffaele Conti

Il senso della vita è che nulla ci appartiene, neppure la vita

Aggiornamento: 3 nov

Se ho una certezza nella vita è che niente mi appartiene. Non mi appartiene quello che mi sono guadagnato, né ciò che ho comprato, la mia chitarra del cuore, l’ harmonium che mio cugino Enrico mi ha comprato a Rishikesh, i miei figli, mia moglie, i miei amici. La mia vita stessa. Tutto ciò per cui vivo non mi appartiene.


No, non voglio dire che mi verrà “tolto”, perché gli oggetti li possono rubare, ma nessuno ti toglie la vita o l’amore. La vita e l’amore passano, vanno oltre quel noi che siamo qui e ora. Gli oggetti, ça va sans dire, li lasciamo lì dove sono ora o comunque appena più spostati o passati di proprietario o rotti per l’usura o l’incuria. I libri verranno letti da altri occhi e sfogliati da altre mani o venduti o buttati quando i titoli non interessano più a nessuno e questo capita spesso.


Non ci pensiamo mai, ci si pensa quando si arriva alla mia età e si ha a che fare con amici o affetti più giovani e capisci che tutto questo tempo davanti non ce l’hai e non te lo auguri nemmeno. Yogananda comprese (lui disse che glielo svelò la Madre Divina in persona, cioè Dio) quando era finito il suo tempo e passò dall’altra parte pare in modo volontario come i grandi yogi sanno fare.


C’è un’altra parte? Mi viene da ridere a immaginare le risposte di quelle persone che stanno dicendo in giro che sono una brutta persona perché sono buddhista (sì, nel 2023 a Milano). Dubito che il mio amico Lama sottoscriverebbe questa dichiarazione, sul fatto che io sia buddhista, intendo. Di certo qualsivoglia religione si abbia, passiamo la vita - qualcuno l’intera vita fin sul letto di morte - a provare rabbia, rancore e a tentare di vincere tutte le battaglie. Battaglie e schermaglie che l’ultimo giorno di vita passano in second’ordine e forse – me lo auguro – lì qualcuno capisce che ha sprecato decenni in cose di nessun conto. Che bastava aprire il cuore e ridere dei detrattori perché sono povere persone senza bussola. E questo a prescindere dal fatto che io sia una o meno una brutta persona (e qualcuno potrebbe giurarlo perché molte ciambelle non mi sono proprio venute col buco).


Che differenza c'è tra gli uomini e questi tori?

Ma è così che funziona la Vita e provo tanta tenerezza per gli ignoranti come me che hanno tentato – senza riuscirci - di farsi valere e di azzeccare tutte le scelte. L’unica “scelta” si comprende quando si capisce che non si ha scelta. Non occorre essere malati per questo, basta un lampo di consapevolezza per capire che niente ci appartiene in questa vita, nemmeno la vita stessa. Ma che l’unico dovere che abbiamo nei confronti della vita e di noi stessi è di non sprecarla. Mai. Ecco perché ha senso uscire dalle dispute, non perder troppo tempo con le serie tv e neppure a tentare di convincere gli altri di quanto sto dicendo; ha senso non buttare il cuore in storie senza futuro e senza senso, smettere di accumulare, fare decluttering intelligente, regalare ciò che non si vende né si usa, fare regali che non costringano altri ad accumulare quanto hai fatto tu.

Se a qualcuno è toccato svuotare la casa dei propri genitori, sa che è un lavoro doloroso e pieno di punti di domanda («Servirà? Lo tengo per i ragazzi? Magari lo porto in campagna…») e poi si finisce per buttare quasi tutto perché abbiamo tutti (o molti) accumulato troppo.


«Sii buono, fai del bene», l'eredità morale di Swami Sivananda Saraswati.

I «ricordi» della propria infanzia fanno tenerezza e io ne conservo alcuni di nessun valore da cui non riesco a staccarmi. Li guardo e ricordo chi ero in quel momento, mi trasmettono le speranze deluse e le scoperte inattese; c’è un Teseo in metallo che mi regalò mia zia Annie che oggi ha 91 anni e neppure più un ricordo cui aggrapparsi, una sorte crudele toccata proprio a lei che mi ha insegnato tutto della cultura classica e mi ha trasmesso la passione per la ricerca interiore quando ancora ero piccolissimo.

Ecco, la statua di Teseo non mi appartiene, ma quello che simboleggia, quello sì. E non solo in termini di amore per mia zia, ma in termini valoriali. Quello che zia Annie mi ha passato attraverso Teseo non mi verrà mai tolto e mi seguirà ovunque andrò. Le piccole grandi conquiste ottenute in questa vita, le sconfitte e il dolore, sono stati grandi insegnamenti che porterò con me oltre il cancello. L’amore dato, l’amore non restituito, gli sforzi e le battaglie interiori, tutto questo nessuno potrà mai estirparle dal mio essere.


Non so se avremo altre vite davanti, la mia via spirituale dice di sì, ma sappiamo che su questo tema esistono così tante teorie che se ne potrebbe fare una commedia a Broadway. Alla fine nessuno sa proprio un bel niente. Tranne quel sentire intimo, quel quid che sto cercando di trasmettere ora a chi sta leggendo (ma so che è quasi impossibile riuscirci), il sapere che non ci appartiene nulla. Neppure la vita. E trovo che sia una cosa meravigliosa.


Rishikesh (India). «L'amore nel cuore dell'uomo è un santuario di Dio sulla terra»






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