Mario Raffaele Conti
«Mi dici perché ingigantisci sempre le cose?»
Talvolta non lasciamo alla vita il tempo di aggiustarsi. Ed esplodiamo...
Milano, linea 59, interno giorno. Il bus è quasi vuoto, non è una linea molto frequentata e per questo mi piace, perché mi permette di arrivare alle porte del centro in pochi minuti, comodamente seduto. In fondo alla vettura ci sono mamma e figlia, la prima sui 60 ben portati, la seconda sui 30. La ragazza è agitata e confabula al telefono. La madre cerca di tenerla calma. Inutilmente: la ragazza è sopra le righe, si agita di più, lo sguardo corrucciato, dice qualcosa a denti stretti. Evidentemente qualcosa non sta andando secondo i suoi piani. Forse il fidanzato non le risponde? La madre pazienta ancora e poi sbotta e tutti possiamo sentire bene: «Ma perché ingigantisci le cose? Aspetta un quarto d'ora, aspetta 20 minuti...».
Grazie signora per questa lezione. L'ho fatta mia, «messa in saccoccia», come si dice qui a Milano, in tasca, tenuta al caldo e stretta per i tempi più grami. Mi servirà, le assicuro. Forse anche a voi.
Ora, la signora guardava quel che accadeva dentro sua figlia dal di fuori e sono tutti bravi e saggi quando non sono coinvolti in una vicenda, ma sentirmelo dire oggi mi ha aiutato quando poco dopo, ho aperto la posta e ho letto la e-mail di un prepotente che mi scatena fumi che neanche il Vesuvio a Pompei. «Aspetta 20 minuti». Ma sì, anche un giorno o due. Non serve reagire subito, non serve precipitare risposte, meglio lasciar sedimentare, lasciar andare, dimenticarsene anche per un po', e poi - a freddo - servire il piatto a lui consono. Bellissimo consiglio, signora, grazie mille.
Nelle due fermate d'autobus successive mi sono ricordato delle milioni volte in cui non ho aspettato neanche un minuto, di come fossi completamente immerso nella vicenda, nella litigata, nell'ansia, nella fretta di rispondere, di dire, di fare, di difendermi. Con il tempo ho imparato che se aspetto quel «quarto d'ora, 20 minuti», tutto cambia. Io non sto male, la nebbia si dirada, la visuale si schiarisce, la risposta è più ferma, efficace, risolutiva. Oppure in quei 20 minuti si capisce che la risposta deve avere il tempo di nascerti dentro. Forse domani. Funziona sempre.
Il punto è ricordarselo quando accade, quando “parte l'embolo”. Purtroppo non serve farsi un appunto su un post-it e nemmeno un alert sul telefono: è possibile ricordarlo solo se e quando l'ascolto di sé si è fatto più sottile. Quando s'impara a conoscersi, ma soprattutto a riconoscersi. Quando si riesce a essere i testimoni di se stessi e a osservare i comportamenti come se non fossero i nostri. Quando si rivedono come in un film i comportamenti (erano azioni o reazioni? Ha importanza?) che ci hanno fatto stare male e il filmato del ricordo si ferma sul momento esatto in cui parte l'irrazionale, l'esplosione di rabbia o di passione: lo si osserva con attenzione, si prova a ricordare cosa abbiamo provato un attimo prima e perché abbiamo deciso di assecondare la reazione (o l'azione) e se ha avuto un senso assecondarla. Perché talvolta ce l'ha. Perché non è scritto in nessun testo che si debba essere degli automi decerebrati e trattenuti. Perché talvolta l'azione o la reazione nostra provoca anche consapevolezza in chi la riceve (se è in un percorso evolutivo). Non sempre “la calma” è un segno di avanzato stato spirituale: talvolta erompere come un vulcano serve all'evoluzione del pianeta altrui.
«Perché ingigantisci le cose?», cosa vuoi che sia una “sbottata” ogni tanto, una perdita di pazienza, il bisogno di una piccola sregolatezza?
«Perché ingigantisci le cose?», cosa vuoi che sia una litigata ogni tanto, un chiarirsi per amarsi ancora di più, per imparare a rispettarsi ancora meglio?
«Perché ingigantisci le cose?», cosa vuoi che sia se lui o lei ti hanno lasciato/a, se una storia è finita perché doveva finire, perché a lui o a lei o a te non andava più di continuare, perché ci si evolve e le relazioni talvolta involvono ed è come un bosco dopo un incendio: «Aspetta un quarto d'ora, aspetta 20 minuti...», poi i prati tornano verdi, i fiori sbocciano di nuovo e la vita irrompe in un bosco tutto nuovo.
«Perché ingigantisci le cose?». Cosa vuoi che sia, in questa esistenza così provvisoria, scoprire che ogni cosa ha un termine e che tutto si può aggiustare o anche no. E che va bene così.
Questa impermanenza, questo senso della provvisorietà, del tutto che si trasforma, è per me quanto più vicino ci sia all'idea del divino. E abbandonarsi a esso (o a Lui, se volete), è l'atto più spirituale cui sento di poter aspirare in questa Vita. Senza il bisogno di ingigantire neppure questa idea...
P.S. Con il tipo della e-mail ha funzionato: ci ho dormito su due giorni, ho elaborato una risposta inattaccabile e ho ottenuto ciò che volevo. What else?
