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  • Immagine del redattoreMario Raffaele Conti

Le «vritti» e quella gioia che va oltre «i bastioni di Orione»

E poi il cuore si apre alla gratitudine. È un raggio di luce che squarcia il cielo plumbeo di Milano, che rischiara i lamenti di chi non ce la fa a sopportare la vita, il lavoro, la sofferenza, di chi non riesce a vedere l’angolo di luce tra le nuvole.

Non è scontato e non si impara con una tecnica. Non si allena, accade. E quando accade non è un’emozione che sale. No, non c’è fremito, non c’è esaltazione, il tuo corpo non vibra come quando ti si accappona la pelle per qualcosa che colpisce i sensi. È un vento caldo e tu ci sei in mezzo e non senti caldo come quando il sole scotta, ti accorgi di essere al centro di un vento amorevole che arriva da lontano, dai «bastioni di Orione o alle porte di Tannhäuser» (cit), forse, o anche più in là, dove gli universi si espandono, le realtà si moltiplicano, dove niente è più comprensibile con la mente.


Lo scrivo e mi viene da sorridere, io, circondato come sono da centinaia di libri ai quali chiedevo e chiedo di aiutarmi a capire. Mi hanno aiutato sì, la via dello Jnana (conoscenza) Yoga, è necessaria e lenta, e poi la Vita ti supera a destra e capisci che non può bastare, che se rimani lì, resti al palo. E non penso alla “carriera”, non ai “doni dello Yoga”, ai “doni spirituali”. Chissenefrega di tutto questo. Se è vero, come è vero, che il nostro compito qui sulla Terra è di espandere la coscienza, tutto ha senso se non voglio possedere i doni che ricevo. E non è come dirlo. Pensateci: a Natale qualcuno vi regala un gioiello e voi lo lasciate andare, lo donate alla prima persona che passa per la strada. Sembra assurdo, ma nella via spirituale accade questo. Ogni gioiello ricevuto è fatto per essere donato a sua volta.


Non siamo isole, siamo animali che si realizzano in branco, anche se finiscono per sbranarsi. Espandere la coscienza significa anche espandere il cuore, la mente, le prospettive, l’empatia, le possibilità. È quello che ci permette di non sbranarci, di comprendere, di non crearsi aspettative, di accettare il limite altrui, di amarlo perfino quel limite, di non chiedere niente che non possa esserci dato, di chiedere anche il rispetto, sì, ma senza rivalse.


Ci consente di fermare i pensieri vorticosi della mente, le famose «vritti» nominate da Patanjali in Yogasutra. Sapete, vritti in sanscrito significa «Esistenza, modo di essere, di vivere, di pensare» (Stefano Piano). Vi stupite? Perché non vi è mai accaduto di scegliere un pensiero che sapete non vi porta da nessuna parte, semplicemente perché vi ci siete affezionati? Perché quel pensiero fa parte del vostro modo di sentirvi vivi? Perché lo riconoscete come “vostro” e senza di esso provate un vuoto dentro e fuori, un senso di spaesamento? È il nostro modo di essere.


La radice vrt- significa essere, ma anche «muoversi, agire…». Quando si «È» non si sta fermi. Le vritti non sono anche una dichiarazione di esistenza in vita, per noi? Ragioniamo (ci siamo), sogniamo (ci siamo anche dormendo), ci illudiamo (non smettiamo di esserci, a prescindere), ricordiamo (abbiamo una storia, siamo qualcuno). Sono gli oggetti del nostro stato di coscienza (lo dice Mircea Eliade). Abbandonarli sembra impossibile, ci attraggono con una forza inesauribile. Pensiamo che lo Yoga come via spirituale ci chieda il distacco dalla Porsche e dal sesso, ma il nostro tesoro più grande sono i nostri pensieri.


Liberi dal possesso dei nostri pensieri, dei nostri pregiudizi, di ciò che ci condiziona e che condiziona la nostra vita, possiamo lasciare che il nostro «tutto» si espanda oltre quei «bastioni di Orione» per incontrare il nostro vero «io», quel «sé» che ci rivela il «Sé» e lo realizza. Qualsiasi pratica che non provi a condurci qui, nella gioia senza fine, è perdita di tempo. Ma anche questo fa parte del percorso e dobbiamo essere grati agli inciampi perché senza di essi l’Universo ci è precluso. Strano vero?

Sento ancora una volta la voce di Humphrey Bogart…: «È la Vita, bellezza!».





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