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  • Immagine del redattoreElena Tommaseo

Quando mi sono trovata una scimmia che pranzava a tavola...

In questa metropoli da quasi 25 milioni di persone, ultimo censimento nel 2011 e non credo siamo quindi in grado di fornire un numero preciso, coabitano individui e animali in una quasi totale armonia.

 Molti forse ignorano che la metropoli di New Delhi sia sorta un poco per volta a partire dalla dichiarazione di indipendenza dell'India dalla Corona Britannica del 15 agosto 1947. Il cuore della città, allora, era quella che oggi chiamiamo Old Delhi, il cui nome originale è Shahjahanabad. Fatta costruire dal V Imperatore Moghul, Shah Jahan, nella prima metà del 1600, portava infatti il nome di questo personaggio ignoto sicuramente ai più, ma il Taj Mahal, che fece costruire per custodire le spoglie della sua moglie più amata fra tutte, Mumtaz Mahal, è probabilmente il simbolo che rappresenta l'India per eccellenza, oltre a essere una delle Sette Meraviglie del Mondo.


Fuori dalle mura di Shahjahanabad, oltre alle recenti costruzioni coloniali, si trovavano campagne, villaggi, foreste: stiamo parlando di 76 anni fa, non dobbiamo quindi stupirci più di tanto se la vita dei dilli walle (gli abitanti di Delhi) si incroci spesso con la vita parallela di una quantità imprecisata di bandar, le scimmie, in questo caso macachi.

Le bandar si sono adattate, di generazione in generazione, a vivere in una foresta di cemento, peraltro comunque molto ricca di spazi verdi e porzioni di foresta ancora piuttosto selvagge, una metamorfosi che le ha viste conformarsi perfettamente al veloce cambiamento delle condizioni di vita di entrambi, umani e animali.


 

Qui tutto scorre senza che ci si scomponga più di tanto, ci comportiamo un po' davvero come l'acqua del fiume, fluidi e adattabili, in uno scorrere armonico che ci preserva spesso dai piccoli conflitti quotidiani, il vivi e lascia vivere funziona abbastanza, in linea generale.

È così che anche la mia esistenza si incrocia di tanto in tanto con quella delle bandar le quali, periodicamente, si lanciano in arrembaggio nel mio tranquillo e verde quartiere. L'arrivo improvviso delle bandar si annuncia con degli strani rumori, tonfi, botti, alle volte versi, ombre che sfrecciano sui balconi, segnali inequivocabili che innescano allarme e preannunciano scene da comiche.

Quando ti affacci per capire quante sono e come correre ai ripari, le vedi giocare con i tergicristalli delle auto parcheggiate, salire lungo le tubature, dondolarsi sui fili della corrente e dei Wi-Fi, rovesciare vasi, saltare da una pianta all'altra spezzando i rami, rincorrersi sulle fragili tettoie di alluminio facendo un rumore infernale. Bandar di tutte le taglie, grossi maschi, femmine e cuccioli appesi alle loro pance o aggrappati alle loro schiene come impavidi o anche impacciati cavalieri.


 

Le bandar hanno una missione ben precisa: mangiare innanzitutto, ma d'estate amano tuffarsi nelle taniche che abbiamo all'ultimo piano, taniche che contengono, ahimè, l'acqua per l'uso quotidiano. Queste taniche sono chiuse con dei coperchi che loro sanno aprire senza problemi e tu puoi solo accorgerti se questo assalto avviene alle taniche dei tuoi dirimpettai. Spesso sfilano dalle code la biancheria messa ad asciugare al sole e la gettano in strada, una volta ne ho vista una infilarsi una t-shirt bianca e non riuscire più a tirar fuori la testa. Sembrava un fantasma e dondolava priva di senso dell'orientamento, attaccata a un tubo, in bilico sopra una tanica d'acqua aperta.

 

Nel nostro piccolo ci possiamo solo difendere chiudendo porte e finestre per evitare rapine e soqquadro in cucina, sperando che i danni all'esterno siano limitati, ma nell'area dove vivono i politici, misteriosamente prediletta dalle bandar che vi soggiornano abitualmente, esiste un sistema ben collaudato di autodifesa: il monkey man.

 

Il monkey man ha studiato il verso del langoor, la bandar più temuta dai macachi. Qui a Delhi di langoor non ne ho mai visti, ma basta riprodurre bene il loro verso per mettere in allarme i macachi e tenerli a bada in modo che non scavalchino le mura che portano nei giardini dei bungalow (le case coloniali inglesi) oggi dimora appunto di una certa elite locale. Qualche anno fa ricordo di una serie di attacchi piuttosto frequenti e numerosi in quella zona, le autorità hanno ritenuto fosse ancora più efficace traverstire i monkey men da langoor e così, come quando a Milano nevicava copiosamente e si arruolavano gli spalatori, qui a Delhi, nell'area Vip, stuoli di uomini saltellanti, dal viso dipinto di nero e lunghe code dall'anima in fil di ferro, si aggiravano urlanti sui marciapiedi.

 


Il problema si è posto seriamente durante la preparazione per il recente vertice dei G20. Come tenere a bada le bandar? Come evitare che distruggessero le migliaia di vasi di piante disposte lungo i tragitti “caldi”? Come evitare che finissero nei giardini degli hotel di lusso, che sfilassero parrucchini dalle teste, samosa dalle mani e che, soprattutto, come i cani randagi, infangassero l'immagine della lucente metropoli moderna e immacolata?

Ecco che la soluzione si è prontamente trovata: la sagoma del langoor a dimensione reale e in atteggiamento ostile, appesa ai pali e ai cancelli supportata ovviamente anche da una quarantina di monkey men qualificati che si sono posizionati vicino a hotel e luoghi associati al vertice. Personalmente non ho notato alcun effetto deterrente per quanto riguarda le sagome che ho visto qualche giorno prima in un parco, però immaginare i Vip sfrecciare lungo i viali della Lutyens’ Delhi fissati da questi musi minacciosi che mostravano loro i denti aguzzi mi è parso un quadro piuttosto divertente.

 

Durante l'ultimo arrembaggio di tre settimane fa, attraverso il gruppo di WhatsApp qui nel mio quartiere, qualcuno ha proposto di istallare le sagome lungo le mura che lo dividono da una porzione di foresta (praticamente una di queste a cinque metri dal mio ingresso; fortunatamente per ora non sono arrivate); qualcun alto ha suggerito di mettere nei balconi dei finti serpenti che sembrano funzionare...

Qualche anno fa, sempre nel mio quartiere, avevano arruolato delle piccole pattuglie con langoor al guinzaglio...



Personalmente credo che le bandar l'avranno sempre vinta, ma almeno ho imparato a non farmi trovare impreparata come quella volta che, uscendo dal bagno, ne ho trovata una seduta sul tavolo della colazione che mangiava, per cominciare, banane. Dopo essere riuscita a cacciarla sul balcone, ovviamente con tutte le banane ben strette fra le braccia, tempo tre minuti e avevo sei bandar davanti alla porta.

Ho imparato a non mangiare niente di fronte a loro (dopo che, un pomeriggio, avevo appena aperto e addentato un cornetto gelato per la strada quando me l'ha scippato al volo) o a non lasciare mai le porte aperte se ci sono scimmie in giro, come quella volta a Varanasi, quando ne è entrata una nella camera della guest house mentre, seduta sul letto, parlavo su Skype con un'amica in Italia e si è scatenato l'inferno mentre lei, agitatissima, non capiva cosa stesse succedendo perchè la telecamera dava le spalle alla scena. Ho imparato che a Vrindavan bisogna far sparire gli occhiali perchè lì sono specializzate nel furto di questo articolo che, mi sembra di aver capito, portano poi a dei ricettatori che evidentemente le ricompensano.

 Alla fine però la verità è che ognuno vive la sua vita senza troppa tensione, vada come vada, ogni tanto va meglio a noi, ogni tanto va meglio alle famigerate bandar.


Le immagini di questo servizio sono di © Elena Tommaseo.

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