Ma poi c’è la questione che esiste un confine tra il rispetto di sé e il famoso ego che ci attanaglia. Forse, nel percorso di un ricercatore è «la» questione, il passo che precede la resa. La resa può avvenire se e quando si comprende che abbandonare l’ego non mette in pericolo il rispetto di sé. Ho appena letto un libro molto bello che mi ha appassionato, Ritorno a casa – Autobiografia di uno swami americano (Eifis) di Radhanath Swami, guru americano della tradizione Gaudiya Vaisnava, più noti come «Hare Krishna».
Questo religioso ha avuto una vita estremamente avventurosa e prima di accettare Baktivedanta Prabhupada come proprio guru, ha svolto una ricerca coraggiosissima nell’India degli Anni 70, senza un dollaro in tasca, vivendo alla maniera dei sannyasin, i rinuncianti, i monaci mendicanti, tra i pericoli, al gelo, senza nulla. È un libro davvero molto bello che è stato paragonato da qualcuno ad Autobiografia di uno yogi. Mentre il libro di Yogananda è anche la summa della filosofia Yoga e racconta decenni di esperienze e di incontri, qui lo Swami ci fa rivivere con lui la ricerca appassionata di un ragazzo (Radhranath stesso) che partito dagli Stati Uniti con pochi dollari, giunge fino in India per trovare la sua vocazione. E lo fa alla maniera occidentale, in fondo potrebbe essere uno di noi, con le aspirazioni ingenue della beat generation e un punto di vista di uomo moderno. Lo Swami americano racconta l’India del dopo-Yogananda, meno magica e già più avvezza ai vizi occidentali, ma non per questo - per noi - meno interessante.
Questi swami ne subisce di ogni, rischia più volte la morte, vive in condizioni miserrime, tutto per cercare Dio: nella sua esperienza ho visto compiersi il percorso della rinuncia all’ego; è davvero ammirevole questo monaco, ma in ogni pagina mi chiedo se io sarei disposto a patire così tanto per “trovare Dio”. Sento un coro di «sì» che si leva tra i lettori e sono fiero di voi, ma la mia risposta sincera, oggi, è «no». Proprio perché non ho ancora capito dove passa quel confine tra rispetto di sé e resa, e quanto mi costerebbe in termini di rinuncia.
Ora, quando si pronuncia la parola «rinuncia», tutti pensano alle cose materiali, all’amore umano, al sesso, a ciò che si possiede. Ma quello che ho capito (e che spiega anche Radhranath Swami nel libro) è che la vera rinuncia, la più terribile, quella che fa tremare le i polsi, è proprio la rinuncia ad affermare se stessi, ad «avere ragione», a smettere di non sentire ragione, a perdere le dispute verbali per amore dell’interlocutore, ad apparire forse un po’ più stupidi di quello che siamo, magari – chediononvoglia - “sfigati”. Ad accettare gusti, scelte, tempi e prospettive altrui. E questo senza essere sfigati né stupidi, anzi, capaci di avere e mantenere un’opinione incrollabile sulle cose fondamentali, desiderosi di compiere il nostro destino nel mondo.
Capite bene che questo confine è sottilissimo ed è vitale comprendere come oltrepassarlo certi di non fare l’errore di chi si butta dietro a falsi profeti di tutte le religioni, che nella loro accezione peggiore sono simili alle sette: vogliono l’anima dell’adepto, non la sua realizzazione profonda.
Posso dirvi solo quello che so e so che la prima resa è nel silenzio della pratica, quando accettiamo di non seguire i nostri cari vecchi pensieri ricorrenti che si affacciano appena chiudiamo gli occhi.
Quando accettiamo di lasciarli andare perché ne siamo stanchi e sappiamo che non ci permettono di andare oltre di essi.
Sembra niente, ma se non lo avete mai fatto, provateci. Quella è la prima resa, è realizzare che possiamo vivere benissimo senza la reiterazione degli stessi schemi mentali.
La seconda resa è quando nella difficoltà aspettiamo a emettere giudizi e osserviamo il comportamento della nostra mente, delle reazioni abituali. Possiamo anche arrabbiarci, dispiacerci, ma l’importante è non smettere di osservare, perché questo “gesto” ci porterà qualche risposta. Con i tempi necessari, che la risposta necessita.
E questa è la terza resa: il tempo. Siamo abituati ai cachet che ci tolgono le emicranie in pochi minuti, ma certe progressioni attraversano le involuzioni e necessitano di tanta pazienza… di sé.
Dopo queste tre “rese” siamo solo all'inizio del percorso, ma è solo questo che so e che vi posso comunicare, Sperando che vi porti alla resa totale che permetta di incontrare il divino (frase che preferisco a «trovare Dio»), che forse è l’augurio più bello che possiamo farci.
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