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La fiaba beat del Monte Verità e di quel genio di Pericle
E poi ho scoperto il Monte Verità. La prima volta che ne ho sentito parlare è stata alla presentazione di libro su un pittore svizzero molto famoso a Londra negli Anni 60 e oggi sconosciuto o quasi nella sua Svizzera e qui in Italia: Luigi Pericle (il libro ha un titolo che spiega bene questa recente riscoperta: Luigi Pericle, il maestro ritrovato - Aragno).

Questa collina dal nome suggestivo non è lontana dal nostro orizzonte, o almeno non è lontana per chi vive al Nord. Si trova ad Ascona, cioè nell’ultima parte del Lago Maggiore, in territorio elvetico, un’ora e mezza da Milano, due ore da Torino.
Sì, il nome è suggestivo e totalmente straniero per me. È vero che un confine è molto più di una linea tracciata su una cartina, però il fascino di un nome o di un titolo annullano i dazi mentali e appena tornato a casa da quella conferenza stampa mi sono messo a caccia di notizie, sia sul monte sia su Pericle che è un artista da scoprire e che ha avuto il destino connesso con quello del luogo.
Avessimo letto sulle cronache di allora, avremmo letto che sul Monte Verità c’era una comune di “strambi degenerati”. Con il senno di oggi diremmo che all’inizio del 1900 sul Monte Monescia sopra Ascona si abbattevano barriere culturali e di costume con un coraggio futuribile.
Quei visionari vengono descritti come riformatori che cercavano una terza via all’ideologia capitalista e comunista. I tre fondatori della comune sono Henry Oedenkoven da Anversa, la pianista Ida Hofmann dal Montenegro, l’artista Gusto Gräser e il fratello Karl Gräser dalla Transilvania. Leggiamo sul loro sito www.monteverita.org: «Vestiti con gli indumenti "della riforma" e con i capelli lunghi, lavorarono giardini e campi, costruirono spartane capanne in legno rilassandosi con l’euritmia e bagni di sole integrali, esponendo i loro corpi a luce, aria, sole e acqua. La loro dieta escludeva cibi di origine animale e si basava interamente su piante, verdura e frutta. Adoravano la natura, predicandone la purezza e interpretandola simbolicamente come l’opera d’arte ultima».
No, non avete sbagliato a leggere: è accaduto a inizio ‘900 non negli Anni 60. Questi beatinik ante litteram hanno dato vita a un’utopia in cui l’obiettivo era coltivare lo spirito e la mente, nel pieno rispetto della donna e della sua emancipazione.

Tra coloro che sono transitati in questo luogo che appare oggi surreale e allora era “scandaloso” ci sono teosofi, riformatori, anarchici, comunisti, socialdemocratici, psicoanalisti, scrittori, poeti, artisti, tra cui Herman Hesse, D.H. Lawrence, Arthur Segal ma qualcuno dice che siano transitati anche Lenin, Trotsky e Jung. Quello che è stato l’Esalen Institute in California negli Anni 60 e 70 (www.esalen.org ), è stato il Monte Verità in Europa sei decenni prima.

È stato grazie al saggio dedicato a Pericle da Luigi Mascheroni nel libro Il maestro ritrovato che ho scoperto il Monte Verità. Ed è qui che s’inserisce la storia di Luigi Pericle, artista straordinario misconosciuto oggi, ma famosissimo ai tempi della swingin’ London. Un uomo che ebbe tre vite, come spiega il libro curato da Andrea Biasca-Caroni: la prima come autore del fumetto Max la marmotta e illustratore del Washington Post e dell'Herald Tribune; la seconda nei primi Anni 50 quando si trasferisce ad Ascona ai piedi del Monte Verità, appunto, quando esprime la sua arte, «vira verso un astrattismo informale (...) dove icone ancestrali si compongono e si ricompongono», e quando finisce per esporre in Gran Bretagna; la terza quando chiude con la vita mondana che finisce in una sorta di vero e proprio eremitaggio, nel silenzio, fino alla morte nel 2001.
È in questo periodo di silenzio che scrive il suo testamento spirituale, Fino alla fine dei tempi, summa della ricerca di Luigi Pericle e dei sui studi «declinati in un racconto di finzione dai significati esoterici». Ma ormai il Pericle artista era caduto nell'oblio. Fino a che nel 2016 Andrea e Greta Biasca-Caroni acquistano quella che fu la sua casa ad Ascona e trovano un tesoro, migliaia di dipinti e una biblioteca di 1.500 libri.

Ha ricordato Andrea Biasca-Caroni alla presentazione del volume che quando «Pericle dipinge le sue chine sta meditando. Riesce a trasmettere l'elevazione coscienziale attraverso i suoi quadri». Il fatto che fosse ai piedi di quel monte non è stato un caso perché lì inizia a meditare. Perché il ricordo di quella comunità vegetariana e anarchica di ricercatori è rimasta l'utopia della «più bella controcultura europea del tempo», aggiunge Mascheroni, «tutti profeti di una nuova umanità e avanguardia di una cultura “altra” che già allora in pieno trionfo dell'industrialismo avvertiva tutti i pericoli della nascente civiltà della tecnica. “Uomini nuovi” che avevano il culto della vita primitiva, praticavano la parità dei sessi, professavano una religione neopagana». Mascheroni ci ricorda, insomma, che crudismo, elioterapia e occultismo erano di casa ben prima del New Age.
(Nelle foto sotto, tre opere di Pericle: Calligraphic Rapture IV (Matri Dei d.d.d.), 1964; Senza titolo (Matri Dei d.d.d.), 1974); Senza titolo, senza data). Courtesy of Arch. L.P.
Pericle è stato capace di visioni interiori profonde: lui, che aveva rapporti epistolari con Satprem, lo scrittore di Sri Aurobindo, «ad Ascona ha cercato l'anima», ha spiegato Bianca Cerina Feroni, e «la sua opera è stata il frutto di un percorso di ricerca interiore nella quale è entrato in contatto con livelli di coscienza elevati». E le sue opere oggi parlano per lui.
M. R. C.
