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  • Immagine del redattoreElia Perboni

L'ossessione per il cibo, lo spreco e la fiaba del chicco di grano

Entro al supermercato, uno dei tanti che affollano il nostro vivere: i magazzini del food si moltiplicano come se il rischio di una carestia fosse imminente e mi trovo davanti alle solite pareti di cibo. Mi viene da pensare: ma lo consumeremo tutto? La risposta è «no».

«Il cibo oggi è prodotto soprattutto per essere venduto, non per essere mangiato», dice Carlo Petrini fondatore di Slow Food. Si pensi che in Italia vengono sprecati all’anno 8,65 milioni di tonnellate di alimenti.


In questa follia consumistica mi viene alla mente una favola, di quelle raccontate per incantare i bambini: «La storia del chicco di grano che diventa pane»: il viaggio, il percorso di crescita e trasformazione di un semplice, piccolo chicco di grano che diventa cibo. È una storia utilizzata come strumento educativo per insegnare ai più piccoli l’importanza del lavoro, della pazienza e della gratitudine, che anche le cose più piccole e apparentemente insignificanti possono trasformarsi in qualcosa di prezioso, molto prezioso per l’umanità: il cibo. Quel chicco è al centro della nostra vita. Lo vediamo in questi venti di guerra, nel dramma in cui le navi cariche di quel grano vengono bloccate impedendo di sfamare paesi più poveri.


Al Premio Nobel per la Letteratura José Saramago avevano chiesto: «Lei è a favore della liberalizzazione delle droghe?» La sua risposta: «Prima cominciamo con la liberalizzazione del pane. È soggetto a proibizionismo feroce in metà del mondo». È vero, sono gli squilibri economici della “civiltà moderna”, lo sbilanciamento del pianeta. E mentre da un lato c’è chi vive la fame, dall’altro, noi, facciamo abuso di cibo fino ad arrivare a una produzione eccessiva che porta inoltre a effetti nocivi per l’ambiente. D'altra parte, l'inquinamento causato dall'industria alimentare e dall'agricoltura intensiva, come ben sappiamo, hanno un impatto significativo nel mondo in cui viviamo, contribuendo al cambiamento climatico, all'inquinamento dell'aria, dell'acqua e del suolo e alla perdita di biodiversità.


Ma d’altronde, come aveva anticipato in tempi non sospetti Friedrich Nietzsche: «La Terra è bellissima, ma soffre di una malattia chiamata uomo».

Se, come diceva il filosofo Ludwig Feuerbach «noi siamo quello che mangiamo», l’alimentazione ha un impatto diretto sulla nostra salute e sul nostro benessere generale. Chissà se riusciremo a tornare a un rapporto più equilibrato e consapevole perché il cibo è più di una semplice necessità fisiologica: è parte integrante della nostra vita e del nostro benessere generale. Sappiamo che è importante avere un rapporto sano con ciò che mangiamo per garantire una buona salute fisica e mentale e rappresenta, inoltre, anche un momento di condivisione, un filo che collega nella storia la vita sociale dell’uomo.


Nella filosofia ayurvedica e nella tradizione cinese, viene attribuito all’alimentazione un ruolo centrale nel mantenere l'equilibrio del corpo e della mente: il cibo dovrebbe essere consumato in modo consapevole e in armonia con le stagioni e le esigenze individuali onde evitare anche le eccessive importazioni. Ma siamo realisti, sono spesso concetti difficili da applicare in una società così nevrotizzata, soffocata dal bisogno di consumo e in lotta con il caro vita che induce all’acquisto di alimenti a basso costo, alla grande produzione industriale.


Psicologi sostengono che il consumo eccessivo di cibo, spesso di bassa qualità, possa essere correlato a problemi ansiosi o psicologici, come la fame emotiva o la ricerca di comfort attraverso l’alimentazione. Infatti c'è spesso una correlazione tra quest’ultimo e la ricompensa, che porta però alla spinta di un consumo eccessivo proprio come forma di gratificazione.

Intanto la popolazione del pianeta cresce, tra pochi anni saremo 10 miliardi e per smentire Nietzsche l’uomo dovrà inevitabilmente fermarsi e riflettere.

E dovremmo forse riascoltare quella favola ora più adatta ai grandi che ai bambini, a quel chicco di grano e al senso del suo viaggio.



Foto da Pixabay.

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