Mario Raffaele Conti
E dopo l’estate a che punto è la nostra interiorità?
Aggiornamento: 9 set
Veniamo tutti da un periodo di vacanza in famiglia o con gli amici e chi più chi meno abbiamo avuto qualche dissapore, qualche piccolo o grande scontro, qualche delusione. Il mito della vacanza come momento di relax si scontra inesorabilmente con le variabili umane altrui e nostre e talvolta vediamo il ritorno alla normalità della vita cittadina come un momento di oasi dal periodo di oasi. L’altro giorno al mare una mamma diceva a un’altra: «Tra poco torno a lavorare e mi riposo». Ricordo che quando avevo i bambini piccoli, talvolta, pensavo la stessa cosa del lunedì. Fa ridere, a pensarci.

Dice Paramahansa Yogananda che «se comprendiamo lo scopo spirituale delle relazioni, cioè insegnarci a espandere l'amore per se stessi in cerchi sempre più ampi di amore per gli altri, allora, tramite le porte dell'amicizia, dell'affetto coniugale, dell'amore parentale, di quello dei nostri amici e di tutte le creature viventi, potremo entrare nel regno dell'Amore divino, onnipotente e supremo».
«Eh, magari», vien da pensare, «la fanno facile i santi. E se non lo comprendiamo questo scopo? Siamo spacciati? Ci dobbiamo dare agli scacchi come nell'Ultimo sigillo?».
Ognuno reagisce in modo diverso: qualcuno fa propri i consigli dei santi ed è felice; altri li ascoltano come fossero poesia, si lasciano beare al punto da illudersi di averli assimilati; io preferisco chi mi consiglia di andare per gradi, iniziando a osservare me stesso prima di pensare al trascendente. È un passaggio in più, lo so, il risultato non cambia, ma mi aiuta chi mi spiega così. Come Swami Satyananda Saraswati: «Il nostro attuale stato mentale non è in grado di gestire tutti gli aspetti della vita. Il nostro amore e odio, i nostri rapporti con le persone, sono la conseguenza della qualità della nostra mente attuale. Sembra che le nostre sofferenze, le nostre angosce e frustrazioni non siano tanto dovute alle circostanze della vita, ma piuttosto siano le risposte della nostra mente». Inutile illudersi: l'illuminazione - ammesso che l'abbiamo mai raggiunta - si spegne, talvolta... Il ritorno alla consapevolezza è la risposta alla perdita di consapevolezza.
Allora proviamo ad analizzare: esattamente di cosa abbiamo bisogno nella nostra relazione con gli altri?
Che cosa ci manca?
Che cosa causa il corto circuito?
Cosa ci fa imbufalire?
Sono domande estremamente interessanti e io ho preso l’abitudine di farmele quando mi capita di “esplodere” (sono un Ariete ascendente Sagittario, il fuoco è il mio elemento, lo accetto e ne accetto le conseguenze).
Già, al contrario di quanto si legge in tanti libri o scritti, non penso che avere un credo o praticare una via spirituale possa di per sé cambiare il nostro carattere. Forse possiamo anche illuderci che sia possibile, e talvolta è anche possibile, ma quando la sfida si alza, alla prova del nove, cadiamo tutti come pere mature. A meno che non si sia arrivati a un livello di risveglio tale che... be' non staremmo qui a parlarne, no?
Quindi, se e quando ci capita di perdere la pazienza, al posto di perdere tempo ed energie con i “mea culpa”, trovo sia molto più utile cercare di osservare il film della nostra reazione.
Cosa esattamente ci ha fatto arrabbiare?
Quale parola o atteggiamento hanno scatenato l’insofferenza?
Qual è stato il momento preciso in cui ho sentito che non potevo più trattenere l’indignazione o la rabbia?
Vedere quel momento dentro di noi è centrale per potere iniziare un processo di conoscenza interiore che ci permetta di capire qualcosa di noi. L’altro è solo un “di cui”, l’altro è lo specchio, ma il centro della reazione siamo noi.
La “falla” è nella nostra chiglia, l’abuso è stato rivolto al nostro essere, al famoso ego che ci serve per affermarci e poi finisce per essere la causa della nostra sofferenza.
La filosofia Yoga e il Vedanta parlano di samskara, di quei depositi esperienziali che si accumulano nella nostra vita e formano e modificano il carattere: una esperienza dura causa paure, instabilità emotive, dipendenze, ansie, attacchi di panico, disillusione, scatti di rabbia. Nessuno ne è esente. Non ci sono antidoti se non il risveglio, il samadhi. Che avvengono per Grazia.
Se oltre ai samskara ci aggiungiamo la teoria del karma (ogni azione genera un fardello che ci portiamo di vita in vita), capiamo anche che i deliri di perfezionismo o di presunta santità sono una perdita di tempo e di energie enorme.
Possiamo solo partire dalla realtà e provare a praticare, per esempio, le tecniche di Bhakti Yoga o di Kriya Yoga che aiutano a risvegliare i ćakra: «Quando i ćakra vengono risvegliati, la mente cambia automaticamente», spiega sempre Satyananda. «Cambiano così anche i valori della vita e la qualità del vostro amore e delle vostre relazioni migliora immensamente, mettendovi in grado di compensare le delusioni e le frustrazioni della vita. Quindi sarete in grado di vivere in un modo un po’ più elevato di quanto non facciate adesso, migliorando il vostro atteggiamento sia verso voi stessi sia verso la vita».
Questa estate mi sono dedicato a letture amene (il mio adorato Somerset Maugham) e soprattutto a letture impegnate, perché quando insegni è necessario nutrire il mondo interiore. E grazie a queste letture, grazie all’esperienza con Radhanath Swami di cui ho già parlato, e grazie alla pratica quotidiana di asana, mantra e Kriya Yoga, le parole di Satyananda mi hanno risuonato parecchio. È solo attraverso il pur modesto (parlo per me) impegno di ricerca interiore, di consapevolezza, di cadere e rialzarsi, di combattere, perdere e poi ricombattere, che, un millimetro dopo l’altro, la Grazia si fa strada dentro di noi.
Non ci sono santi che fanno miracoli, non ci sono letture, non ci sono personalità che ci cambiano dall’oggi al domani, c’è solo il lavoro quotidiano e continuo per comprendere fin dove possiamo comprendere. E dove non capiamo più, non c'è che lasciarsi andare tra le braccia di questa Grazia. Qualcuno, qui sì, ci salva e ci salverà. Ma il resto è solo Vita da vivere e da abbracciare e accettare così com'è. E un'altra estate verrà.
