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  • Immagine del redattoreMario Raffaele Conti

L'apologia della forma (non la forma) porta al buio dell'anima

Aggiornamento: 1 feb

Quale è la vostra posizione nei confronti del corpo? Sembra una domanda di poco conto, ma ritengo che contempli una complessità difficile da dirimere. Soprattutto in ambito spirituale.

Sono cresciuto – da adolescente – in una chiesa che chiedeva (oserei dire, imponeva) di rinnegare se stessi per dare tutto agli altri. Quindi il corpo e tutta la sfera sensoriale erano da ostacolare, sopprimere, tenere a freno, mettere in un angolo, in favore di…

Mi chiedo ancora oggi in favore di cosa, visto che se annienti la corporeità crei dei mostri e affondi nei malanni del corpo e della mente. Se rinneghi chi sei tu, non sai più chi sei, vivi di esaltazione egoica e illusoria della personalità e causi disastri a te e agli altri. Indossi un desiderata altrui, cerchi di vivere una vita che non ti si confà.


Fuori da quella chiesa, peraltro, negli ambienti di lavoro spesso legati al mondo dello spettacolo, ho incontrato molti che davano invece la massima rilevanza al corpo, direi all’apparenza, all’aderire a un cliché che, però, non doveva sembrare tale per essere à la page. La premessa era diversa, ma il risultato simile: la proiezione illusoria doveva soddisfare il modello comune, mentre la vera inclinazione andava nascosta sotto il tappeto. Era difficile per me stare in quell'ambito, ero un pesce fuor d'acqua.

Sono sempre stato anarchico e non incline a fare quello che fanno tutti, a leggere quello che leggono tutti e a considerare bello ciò che tutti considerano bello. «Non sopporto i cori russi, la musica finto rock, la new wave italiana, il free jazz punk inglese. Neanche la nera africana», cantava Battiato e lui sapeva come dirlo senza farsi crocifiggere. Vorrei imparare a dirlo così, ma so che non ci riuscirò.


Dieci anni fa sono arrivato nello Yoga e, dopo alcune profonde esperienze spirituali e interiori, mi sono ritrovato in un mondo di voyeur (di posizioni), di giudizi (sulle posizioni) e di persone che al posto di cercare di ingannare le vritti passano il tempo a parlare di forma e sequenze (manco fossimo a Broadway) e di quanto è bravo questo o quell'altro guru.

E - lo dico, per chi non mi conosce - un conto è mettere in sicurezza un allievo dal punto di vista strutturale e un conto è puntare sulla capacità ginnica. Non mi capacito nel vedere come si dia così importanza alla forma in un ambito spirituale come quello del subcontinente indiano, che comprende Bhutan, Nepal, Pakistan, Sri Lanka, Maldive, Bangladesh e India.


Dunque la domanda si impone: la forma è nemica del corpo?

Di più: è nemica della spiritualità?

Cominciamo a dire che il problema non è la forma, bensì l'idea che si ha di quello che dovrebbe fare il corpo. Diamo potere all'idea della forma, quando l'immagine che abbiamo di essa è una vritti, vikalpa, l'immaginazione, una convinzione fuori dalla realtà dell’oggetto.

Avete mai praticato bendati? Io sì, ho svolto questa pratica con Willy Van Lysebeth durante la Formazione. Se sei al buio, l'idea della forma dove finisce? Che importanza ha la forma stessa senza la luce? Dell'idea di perfezione geometrica che immaginiamo dover raggiungere, quando siamo al buio cosa ce ne facciamo? Non è invece in quella condizione che recuperiamo una libertà che sotto i riflettori non abbiamo? Senza un palco su cui esibirci, cosa resta di noi? Al buio la nostra posizione può essere soltanto interiore. Chi la può vedere se non noi stessi?


La posizione esteriore non svela la “posizione interiore”. Questo lo abbiamo capito, anche se continuiamo a vedere immagini di asana acrobatiche che suscitano ammirazione e frustrazione. Perché penso sia chiaro a tutti che non tutti possono arrivare a quelle posizioni, vero? Che non dipende dalla “bravura”, ma dalla conformità stessa del corpo, dall'età in cui si è cominciato, eccetera. Promettere che tutti possono arrivarci è vendere vikalpa, illusioni.


Poi c'è un problema oggettivo di immagine, di fotografia. Chi fa il mio e nostro mestiere qui a Rispirazioni si trova ogni settimana nell'ambascia: come posso illustrare un moto interiore dell'anima? Come potrei fotografare una respirazione o uno stato di profonda meditazione? Ecco perché oggi esiste un'oggettiva difficoltà comunicativa dal punto di vista fotografico nei confronti del mondo delle arti interne. Ed ecco perché tutti gli addetti ai lavori scelgono l'asana acrobatica, per suscitare il «wow» al lettore. Con quali risultati è difficile dirlo. Dopo questa overdose immaginifica che cosa resterà dello yoga, è difficile dirlo e sicuramente quando i giovani più atletici raggiungeranno la maturità capiranno che, o lasciano il percorso, o dovranno ricalibrare gli obiettivi.


Ma nel ragionare sulla forma e sul corpo mi viene da andare oltre. Cioè considerare il suo contrario, l'“informe”, l'imperfezione, l'opposto delle posizioni meravigliose che incontriamo nei siti e nei giornali. Non una posizione sbagliata, sia chiaro, non una postura che mette in pericolo articolazioni e muscolatura, ma quella posizione imperfetta che la maggior parte degli aspiranti yogin assumono perché il loro corpo non concede di più. Ecco, è sulla consapevolezza dell’imperfezione del corpo, che preferisco puntare il mio ragionamento, sia qui, sia quando insegno: nella pratica una posizione “perfetta” suscita la mia ammirazione, ma non mi dice niente dello stato yogico dell'allievo in quel momento. Mi dice molto di più il fatto che riesca a tenere gli occhi chiusi, per esempio, o se prova a mantenere la colonna vertebrale allineata: sono sempre aspetti esteriori ma corrispondono a un'intenzione differente da quella dell'apologia della forma in quanto tale.


Quando celebro l'imperfezione della forma voglio provare a suscitare un atteggiamento che ci mette a nudo, che prova ad accettarsi e ad accettare senza giudizio. Questo fa parte di un percorso interiore, cioè raggiungere l’assenza di giudizio nei confronti nostri e altrui. Perché dalla pratica alla vita reale, è un attimo. E il senso dello stare sul tappetino o (con tutti i distinguo) immobili davanti a un muro bianco come nello zen, è proprio questo, non trovate?



 

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