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  • Immagine del redattoreMario Raffaele Conti

Energia e ambiente, il mare ha lanciato il suo allarme

Aggiornamento: 6 set 2022

Cosa possiamo imparare dal mare. È una domanda senza punto di domanda, perché è quasi un'affermazione. Si tratta solo di scavare a fondo e capire quale insegnamento ci può dare questo guru vivente che esiste dall'alba dei tempi. Prima della terraferma c'era il mare e le sue onde sono figlie di quelle onde che hanno milioni, miliardi di anni: esattamente - si fa per dire - 3.6 miliardi di anni.


Oggi il mare mi “parla” e la frase che ho scovato su Internet di Jules Verne mi dà i brividi, nonostante l'afa: «Il mare è l’immensa riserva della natura: da lui, per così dire, ebbe origine il globo; e chissà, forse anche con lui avrà fine». Il mare oggi è bollente. Bollente come vent'anni fa lo trovai nell'Oceano Indiano. Di un bollente innaturale e angosciante: quanti suoi abitanti stanno soffrendo come noi il caldo?


Proprio di questi giorni lo studio italiano dell’Istituto per le risorse biologiche e biotecnologie marine (Irbim) è stato pubblicato sulla rivista Global Change Biology. Ebbene, negli ultimi 130 anni sono 200 le specie marine arrivate nel Mare Nostrum. Qualcuna di queste è arrivata con le navi e per le attività umane, ma la maggior parte per il fenomeno di tropicalizzazione del mare. Alcune zone del Mar Tirreno per esempio, hanno raggiunto una temperatura di 4-5 gradi superiore e hanno raggiunto le temperature del Mar Rosso e difatti da lì sono entrate la triglia e il pesce scoiattolo. Mentre dallo Stretto di Gibilterra la ricciola fasciata, la bavosa africana e il pesce palla. Quanti nuovi ospiti arriveranno nelle nostre acque? Forse alcuni saranno poco graditi.


Qualche settimana fa ero in Normandia, sulla punta dell'Europa dove si vedono a occhio nudo le vicine Isole del Canale, Guersney, Jersey e le altre per intenderci. Se si oltrepassa La Hague si vedono cartelli che chiedono al governo di non trasformare quella natura meravigliosa in una piscina nucleare, perché proprio alle spalle del faro di Goury e al Nez de Jobourg si vede il centro di stoccaggio delle scorie nucleari di tutta Europa. Vi sono smaltiti 524 mila metri cubi di rifiuti. Non ne può accogliere di più, è pieno, pienissimo, e la gente ha paura. Il mare è violato, si teme per le acque della falda. L'impatto della faccenda è tenuto sotto silenzio, anni fa ho letto qualcosa sulla stampa francese, il raddoppio dei casi di leucemia nei bambini di meno di 5 anni. Uno studio tedesco di inizio millennio fa svelava che per un bambino vivere entro i 5 chilometri da una centrale nucleare era rischiosissimo, le probabilità di sviluppare il cancro aumentavano. Degli adulti non si parlava, nessuno studio è stato fatto.


In Francia nel centro di L'Aube, a 250 chilometri da Parigi, potranno accatastare fino a un milione di metri cubi. In Europa le scorie da gestire sono stimate in 3.5 milioni di metri cubi (la cifra è aumentata del 4,6 per cento) perché i reattori in funzione sono 126.

Anche noi presto avremo depositi in Piemonte, Toscana, Lazio, Puglia e Basilicata, Sicilia, Sardegna per smaltire le nostre scorie.

Noi avevamo, anzi abbiamo, quattro centrali che non sono operative ma producono scorie perché il nucleare non si spegne mai (ma altre scorie arrivano dagli ospedali, dai centri di ricerca, etc...).

Abbiamo abolito il nucleare nell'87 e rivoterei a favore della chiusura, ma non posso non notare l'ipocrisia «Nimby» (Not in my back yard, non nel mio cortile: è la sindrome di cui soffriamo molto noi italiani - e non solo - per cui vogliamo tutto basta che non sia davanti alle nostre finestre) quando acquistiamo energia nucleare per accendere i condizionatori, gli idromassaggi, le luci dell'albero di Natale e via dicendo.

Ora, con la crisi energetica gravissima che stiamo attraversando e con il cambio della politica annunciato, pare che sia nelle intenzioni di alcuni di aprire centrali in tutta Italia. Non centrali di quarta generazione, perché per quelle la tecnologia non è ancora stata sviluppata, quindi non esistono. Oggi si ipotizzano quelle con “reattori avanzati” o con “piccoli reattori modulari” (semplificando, centrali più piccole).


Abbiamo dato vita a un gioco che non si spegne mai e questo gioco lo chiamano «progresso». È il progresso a far sì che le acque inquinate della centrale di Fukushima saranno scaricate nell'Oceano Pacifico e che forse il pesce surgelato che finisce nei supermarket ne sarà contaminato. Ma è anche progresso potere fare delle analisi e scoprire un tumore prima che invada tutto l'organismo. Sembra il simbolo del Tao, quel nero che contiene un punto bianco.


Fermare tutto questo sembra impensabile. Andiamo incontro al nostro destino, ormai, il gioco non si può fermare. Nei secoli, i nostri pro-pro-nipoti - chi si salverà - svilupperanno modificazioni tali da sopportare caldo, radiazioni, inquinamento. Forse. O forse la fantascienza diventerà scienza e troveremo un pianeta da colonizzare in una galassia lontana. Forse.


Le nostre certezze crollano con le borse e i governi. Qualcuno vive già quest'ansia dell'ineluttabile, soprattutto i giovani più sensibili, e difatti sono tanti quelli che hanno scelto di andarsene, di vivere a contatto con la natura per sfuggire alla logica delle comodità a tutti i costi e al nichilismo di questi tempi cupi. Umberto Galimberti che scrisse nel 2007 L'ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani dice che oggi i ragazzi vogliono credere ancora a un futuro. Cercano uno sbocco al nichilismo.

La Professoressa Silvia Figini, direttore del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Pavia, ha svolto una ricerca in collaborazione con ISTAT su Sviluppo e analisi di indicatori per lo sviluppo sostenibile (SDGs) tra gli studenti di IV e V superiore. Il risultato è incoraggiante perché il 60 per cento di coloro che hanno risposto è attento allo spreco di cibo, il 67 per cento allo spreco di acqua, e in generale sono consapevoli che su questi temi si stanno giocando il destino. «Tuttavia, non si può parlare di sviluppo sostenibile senza ricomprendere anche le dimensioni economica e sociale» ha spiegato la professoressa Figini.


Questa semplice frase descrive la complessità titanica e reale della sfida. Siamo disposti a ridisegnare tutto il nostro vivere per salvare il pianeta? Sì, vero? Bene. Ora sentite cosa potete leggere sul sito del Wwf: «Il modo con cui produciamo e consumiamo cibo in tutto il mondo è da solo responsabile dell’80% di perdita di specie e habitat a livello globale». L'agricoltura contribuisce al 24 per cento delle emissioni di gas serra, gli allevamenti intensivi al 14,5.

Uno studio del 2019 dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) sosteneva che riscaldamento e allevamenti in Italia erano rispettivamente responsabili del 38% e del 15,1% del particolato PM 2,5. Quindi mangiare carne fa male, ma consumare formaggi o uova non fa meno male all'ambiente.

La situazione è sempre più complessa. Il 57,9% del totale delle emissioni di ammoniaca sono originate dagli allevamenti. E l'ammoniaca inquina i terreni. Potremmo andare avanti all'infinito.


Sappiamo tutto e possiamo fare del nostro meglio per inquinare meno, buttare meno, non disperdere gli oggetti in giro, raccogliere la plastica in spiaggia, aprire gli occhi insomma, anche e soprattutto nel nostro “cortile”. E possiamo nutrirci in maniera più consapevole per evitare di ammalarci. Ci avete mai pensato? È curiosa questa corrispondenza: mangiare male ci ammala e nello stesso tempo ammala il pianeta.

Ecco cosa voleva dirmi il mare oggi.

Il Faro di Goury “davanti” al centro di stoccaggio di La Hague.


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