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  • Immagine del redattoreMario Raffaele Conti

Ha ancora senso la parola «Dio»?

Sprechiamo le nostre energie a separarci in nome di differenti nomi divini. Ma la realtà è molto più semplice. E sorprendente.


Alcune volte perfino le serie televisive sorprendono e nascondono concetti sottili che ti costringono a fermarti a riflettere. La serie (per adulti) in questione è Vikings e mi ha tenuto incollato alle vicende per mesi perché è un misto di epica e storia, alchimia fatale per me. La storia non è vera, ma verosimile; i personaggi sono pescati nelle saghe vichinghe, le conquiste reali e le vicende che ricalcano quello che realmente avvenne alla fine dell’anno 1000. Insomma, gli sceneggiatori sono dei geni.


L’aspetto che più mi ha affascinato è il rapporto con la religione attribuito a quel popolo e – in antagonismo – agli inglesi e ai francesi che già erano stati convertiti al cristianesimo. Entrambi le religiosità sono animose, aggressive, crudeli: nel nome delle rispettive divinità si compiono crimini efferati, sacrifici umani o guerre senza quartiere con giovani mandati allo sbaraglio come nelle guerre attuali. Prima di andare in battaglia si fa il segno della croce o si invoca Odino. A un certo punto alcuni personaggi teorizzano il fatto che Dio e Odino potrebbero essere la stessa persona, ma forse è un concetto moderno, progressista e posticcio. Nel quotidiano, ancora oggi, la realtà è diversa.


Ho la fortuna di conoscere cattolici illuminati con cui è possibile relativizzare la religione, ma esistono qua e là assolutismi che cozzano con il concetto stesso di intelligenza. La parola «conversione» è frutto di una conquista di anime, ma anche di vite in certe zone del mondo. Per chi si fa? Per Dio? Chi è religioso davvero coglie il controsenso, anzi lo scandalo.


«Scusate, qualcuno ha visto Dio?»: è la domanda di una storia che apre il libro di Saprem su Aurobindo. Basterebbe leggere il Pentateuco per comprendere che Dio non si lascia mai vedere da Mosé, né da nessun profeta: ne senti le tracce, il profumo, l’ombra, il fuoco, ma come nei Predatori dell’Arca perduta, chi lo vedesse non riuscirebbe a sostenerne la vista. E poi, siamo così sicuri che abbia un senso la parola stessa? Che cosa significa nell’immaginario di ciascuno di noi? A questa domanda l’unica risposta che ha un senso – per me – è il silenzio.


«Sapere di non sapere» è la massima espressione della teologia, scienza della presenza di Dio in una via religiosa che non potrà mai definire questa presenza. L’indefinibile e l’indefinito, questo è Dio. Ma, per contrasto, è ricchissimo di definizioni (i 100 nomi di Allah nell’Islam, per esempio), ma anche di migliaia di espressioni, di moti del cuore, di sentimenti. E per contro, l’ateo, potrebbe dare una spiegazione logica e ragionale a tutte queste espressioni per provare a dimostrare che in realtà quello che si chiama Dio è solo natura. E alla fine l’ateo e il credente verrebbero sconfitti dall’agnostico che direbbe loro: «Nessuno di voi due può provare quello che dice».


L’agnostico non è un senza-dio, ma solo una persona che non si arroga il diritto di parlare di Dio o in nome di Dio. In cuor suo sente, crede, dubita, bestemmia, loda, ringrazia, ma non lo sventola ai quattro venti. L’agnostico è un uomo di una fede nascosta e indefinibile. Alla fine di quella serie c’è il più religioso tra i vichinghi che confessa questo agnosticismo e ammette che oggi non sa dire se Odino esista o meno, e che l’unica cosa in cui crede è la foglia che sta sopra di lui. Ovviamente il pensiero è dello sceneggiatore, ma descrive una sensazione che ho nel cuore e per questo la riferisco.


A me non interessa riempirmi la bocca della parola «Dio», perché è una parola che non capisco e che si riempie di troppi significati dolorosi per la mia vita. L’unica cosa che posso augurarmi è di percorrere una via che mi porti a unirmi al potente flusso di energia dell’universo e che corrisponde all’«Om» nel mondo induista, ma anche allo Spirito Santo. Non vi sembri strana questa assimilazione che sembra sincretica, ma che sincretica non è, perché le religioni sono steccati creati dall’uomo.


L'Om è l'energia primordiale pre-esistente alla creazione stessa (pranava), è il suono del Big Bang. È energia divina. Dice padre Antonio Gentili sul libro Yogananda mi ha cambiato la vita (Conti-Perboni, Ananda Edizioni): «Possiamo indicare con il termine “energia” lo Spirito Santo, la terza persona della Trinità, tanto che, nella teologia dell’Oriente cristiano, uno degli attributi che viene riservato allo Spirito Santo è, appunto, “Energia divina”» (pag.175). E ricorda Raimon Panikkar, grandissimo teologo e sacerdote, autore di un celebre commendo dei Veda, che ha coniato il termine «panenteismo» che significa che Dio permea tutto l’universo (diverso dal «panteismo» per il quale tutto è dio).


Questo Spirito che permea tutto l’universo abbatte gli steccati perché nell’universo non ci sono confini. Se poi qualcuno storce il naso sul concetto di energia, sappia che gli scienziati considerano che il 68% dell’Universo è permeato di energia oscura (oscura agli scienziati), percentuale che aumenta fino al 95% se si comprende anche la materia oscura. Gli scienziati più visionari ipotizzano che il nostro sia solo uno di tanti universi.

Non sappiamo nulla. Siamo polvere di stelle, anime costrette a recitare nel film della vita, a interpretare al meglio questo ruolo come se fossimo tanti Ingrid Bergman e Humphrey Bogart in Casablanca, ma che il cui unico possibile destino di felicità è quello di fondersi in questa energia che vive e batte anche dentro di noi in questo preciso istante. E scusate se è poco.


Foto di Gianfranco Pierucci.

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