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  • Immagine del redattoreMario Raffaele Conti

Dalla collera alla rabbia: fermare l’attimo cambia la vita

Sappiamo tutti che la collera è un fuoco che brucia e a volte devasta, eppure una ricerca scientifica della Texas A&M University pubblicata dalla rivista americana Journal of Personality and Social Psychology, ha stabilito che talvolta la collera aiuta a dare migliori risposte in determinati contesti. Questa riflessione di eminenti psicologi mi ha indotto a fare qualche considerazione sulla gestione delle arrabbiature, sulla differenza tra queste e la rabbia e sulla considerazione che tutti noi abbiamo dei momenti di collera. Perché sappiamo che è abbastanza inevitabile avere dei momenti di collera, inutile nascondersi.


Già, anche se pratichiamo la meditazione vipassana o zen, la mindufulness o lo yoga, siamo tutti vittime degli scatti di nervi. E non c’è niente di male. Provare questo sentimento bruciante non dimostra che siamo degli impostori, ma solo che siamo esseri umani. E manifestare una finta calma non è sintomo di santità, ma spesso è un mettere la realtà sotto il tappeto. Pratica quest’ultima, molto frequente negli ambienti spirituali a qualsiasi latitudine, specialmente all’ombra dei monasteri di tutti le religioni dove spesso la rabbia ha i colori dell’invidia e di una cattiveria gratuita che arriva al sadismo. Ma siamo donne e uomini, è tutto normale.


Una sfuriata, peraltro, può aiutare a chiarire. Ho avuto a che fare con un direttore del personale che si arrabbiava “a freddo” nelle trattative sindacali, senza intaccare i rapporti o la sua salute, solo per dare un contributo alla discussione. Da quelle finti liti “furibonde”, nascevano accordi giusti e possibili. Nascevano amicizie fatte di stima. E, dopo la collera, ci si beveva un caffè. Questa è la vita.


Pensate a cosa accade nella vita di un adolescente che viene “sgridato” perché non studia: la collera del genitore, spesso, induce il ragazzo a prendere in mano i libri. Ne avete fatto esperienza? Talvolta una piccola “arrabbiatura” aiuta chi amiamo a dare il meglio di sé, a uscire dalla zona di comfort che porta nella palude della vita e dell'anima. Talvolta una sfuriata altrui ha scosso noi dal torpore, ci ha aiutati a riprendere “la retta via”, a ritrovare la motivazione per perseguire i nostri obiettivi.


Sono molto tollerante con le sfuriate altrui e un po’ meno con le mie, anche se il colore della passione ha dipinto la mia vita e so che la collera è l’altra faccia dell’amore appassionato. Se uno è capace di amore appassionato e di passione per la vita, può soffrire di qualche attacco di collera. Però c’è stato un momento della mia vita in cui questa reazione naturale mi faceva molto soffrire perché talvolta chi ne era vittima era una persona a me cara. Allora ho trovato utile osservare.


Osservavo (o cercavo di farlo) l’attimo preciso in cui mi partiva la piccola furia emotiva, in cui la sentivo salire. Talvolta percepivo esattamente la lava del vulcano che risaliva fino alla testa prima di esplodere. Più che un vulcano invero era una solfatara, perché le mie sfuriate durano il tempo di uno sbuffo, non sono capace di lunghe arrabbiature, mi annoiano e mi danno disturbo. In questo senso ho capito che in alcuni casi l’attacco di collera (stiamo parlando sempre di attimi controllati, non di violenza o cose simili, voglio essere molto chiaro: quello è un altro argomento, la collera distruttiva è una patologia) era necessario per me e per l’altro, un momento chiarificatore, spesso una reazione al fatto che non mi sentivo ascoltato. Così ho iniziato ad ascoltarmi io.


Se non mi ascolto io, chi può farlo? Questa è stata una pratica che ha dimezzato i momenti di collera: prima di arrabbiarmi, mi osservo, capisco perché quella cosa mi dà un fastidio pungente e cerco di relativizzarlo, di capire se effettivamente è qualcosa di così importante da meritare una arrabbiatura.


E ancora una volta è necessario fare un distinguo: l’arrabbiatura non è la rabbia. La rabbia è un fuoco che divora chi lo prova. La vita mi ha posto davanti degli esempi di persone che si sono distrutte fisicamente e moralmente con la rabbia. Ho incrociato una persona talmente preda di questo sentimento da avvicinarsi alle pratiche magiche peggiori pur di far del male all’oggetto della sua rabbia. Questa persona emanava negatività, lo percepivi fisicamente, e ha avuto una morte orribile. La rabbia è un morbo mortale. La rabbia è un’arrabbiatura che non si è in grado di contenere, di osservare, di gestire, che viene nutrita e coltivata. Ci sono diversi manuali di auto-aiuto sulla rabbia, ma a mio parere qualsiasi teoria comportamentale è fallimentare.


Quello che ritengo utile - perché è la mia esperienza, perché diversi decenni fa anch’io sono stato a lungo una persona che covava rabbia - è fare una buona indagine sulla motivazione, perché chi è rabbioso è una persona che soffre nel profondo per motivi inconsci; una volta che si capiscono i motivi, inizia il percorso di liberazione progressiva. Che passa attraverso la consapevolezza, la conoscenza di sé e il desiderio di progredire nella ricerca interiore: questi tre elementi sono il fulcro di qualsiasi spiritualità sana. Senza questi tre atti di sana passione per la vita e di amore di sé, c’è solo l’ipocrita illusione di essere ciò che non si è. Sono sempre questi tre gesti interiori a tornarci utili per uscire dall’abitudine di dare sfogo alla collera improvvisa. Senza provare inutili sensi di colpa. Siamo vivi e la realtà è fatta di sfaccettature che ci risultano spesso difficili da accettare, da comprendere, da abbracciare. Ma le sfaccettature sono la vita, direi «il sale della vita» parafrasando un famoso spot con Tonino Guerra. Le sfaccettature portano compromessi, pacificazione, empatia, giustizia. Il resto – direbbe Edoardo Bennato. «è una favola, è solo fantasia».



Foto di NancylynR da Pixabay.

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