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Cina e Corea, due nazioni una sola sfida

Aggiornamento: 17 lug 2023

Avete presente quel capolavoro di comicità che è Frankenstein junior, quando il protagonista esclama entusiasta: «Si… può… fare!»? Non c’è niente da ridere quando a dirlo o a pensarlo sono due satrapi orientali, il presidentissimo cinese Xi e il nordcoreano Kim, un dittatoriglio (un dittatore-figlio, il vero dittatore era suo padre, lui ha ereditato il ruolo e cerca maldestramente di far credere di essere vivo). Di fronte allo sbiadito comportamento di Biden, che dall’Afghanistan è scappato vergognosamente e che non riesce a farsi prendere sul serio da Putin nella guerra in Ucraina, i due, il satrapone e il satrapino, hanno appunto pensato che sia arrivato il momento e «si può fare»: niente più doppioni, niente due Cine e due Coree. Come Putin avrebbe voluto cancellare l’Ucraina, Xi intende impadronirsi di Taiwan e Kim ha annunciato che distruggerà la Corea del Sud.


Xi minaccia apertamente Taiwan, con manovre militari aeronavali, che simulano un’invasione, alle quali l’isola, poco più grande della Sicilia, risponde simulando una difesa di artiglieria, usando però proiettili veri. Xi ha protestato vivacemente, approfittando del “problema Pelosi a Taiwan”, che può sembrare uno stravagante caso di ipertricosi e invece riguarda la visita nell’isola di Nancy Pelosi, presidente della Camera e terza carica dello Stato americano, considerata una “provocazione”, perché ribadisce che gli isolani non sono isolati, ma possono sempre contare sull’amicizia e la protezione degli Stati Uniti.


Taiwan è considerata da Pechino non una nazione, ma una “provincia ribelle” da quando Mao Tse-tung conclude quella lunga marcia iniziata nel 1934 dall’esercito comunista per sfuggire all’esercito nazionalista cinese di Chiang Kai-shek. Durante la guerra civile, tra il 1945 e il 1949 la situazione si capovolge e la lunga marcia di Mao si ferma solo in riva al mare: i grandi nemici, i nazionalisti di Chiang, si sono imbarcati per l’isola di Taiwan.



Quasi nessuno ormai chiama più l’isola col nome di Formosa, che le avevano attribuito i galanti conquistatori portoghesi. Ne ha viste tante, nei secoli, Formosa. È stata occupata dagli olandesi, dai francesi, dai giapponesi. Se l’è ripresa l’ultima dinastia imperiale dei Qing, destituita nel 1911.


Dal 1949 c’è una doppia Cina: la Repubblica di Cina a Taiwan e la Repubblica popolare cinese a Pechino. Da parte dell’ONU, inizialmente la Repubblica di Cina è riconosciuta come l'unico governo legittimo della Cina. La Risoluzione 505 dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, approvata il 1º febbraio 1952, considera addirittura i comunisti cinesi come ribelli contro la Repubblica di Cina. Negli anni 1970, tuttavia, c’è la svolta, sempre più Paesi instaurano proficui rapporti commerciali con la Cina comunista.


I rapporti tra Cina di Mao e gli Stati Uniti si aprono grazie alla “diplomazia del ping pong”. Ai mondiali di tennis da tavolo in Giappone, nell’aprile 1971, un giocatore americano perde l’autobus della sua squadra ed è fatto salire sul bus dei cinesi: parlano, si scambiano regalini e due giorni dopo la squadra di ping pong degli Stati Uniti è invitata a giocare in Cina.



Grazie a questo inaspettato disgelo, il 9 luglio 1971 Henry Kissinger è a Pechino, in una popolarissima “missione segreta” per negoziare nuovi rapporti tra Stati Uniti e Cina e preparare la visita del presidente Richard Nixon nella Città proibita. Taiwan è il problema principale nelle loro relazioni. Il premier Chou En-lai afferma: «Per voi quell’isola ha scarso valore strategico, per la Cina è una ferita aperta, se non risolviamo subito la questione, sarà inutile andare avanti».

Kissinger guadagna tempo: «Prevedo che l’evoluzione politica andrà pacificamente verso la direzione che cercate...».



Alla fine gli americani riconoscono la Repubblica popolare come unico governo legittimo della Cina, mentre la sorte di Taiwan si realizzerà «in un orizzonte temporale compatibile con le esigenze degli Stati Uniti», che vuol dire tutto e non vuol dire niente. È la forza della diplomazia.


Il 25 ottobre 1971, la Risoluzione 2758 approvata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite «decide di restaurare tutti i suoi diritti alla Repubblica Popolare Cinese e riconoscere i rappresentanti del suo Governo come gli unici rappresentanti legittimi della Cina alle Nazioni Unite, e di espellere i rappresentanti di Chiang Kai-shek dal luogo che essi occupano alle Nazioni Unite e in tutte le organizzazioni a loro legate».

La Repubblica di Taiwan è riconosciuta come Stato ormai solo dal Vaticano e da altri 13 governi nel mondo.


In questi anni Xi ha avuto altro da fare: ha voluto “normalizzare” la situazione a Hong Kong, che si illudeva di avere ancora la protezione inglese. Adesso rivendicare Taiwan serve a distrarre la popolazione dai problemi economici e di lavoro. Il nazionalismo, soprattutto contro gli Stati Uniti, è sempre una buona carta. Ma Taiwan, anche se non è più riconosciuta come “la vera Cina”, rimane strategica per gli Stati Uniti: è il simbolo della credibilità americana in Asia. Se cadesse nelle mani di Xi, sarebbe una sconfitta tale da far saltare tute le alleanze con i Paesi orientali.


Per la Corea, bisogna tornare all’estate del 1945, mentre si sta concludendo la guerra tra gli Alleati e il Giappone (in Europa era già finita, tra aprile e maggio, con la morte di Mussolini e quella presunta di Hitler). Un accordo tra Stati Uniti, Regno Unito e Cina prevede l'indipendenza della penisola coreana dal Giappone e lo status di "nazione neutrale". L’Unione Sovietica sembra d’accordo, ma in quell’agosto in tre settimane occupa tutta la Manciuria, le isole Curili, la parte meridionale dell'isola di Sachalin e la penisola coreana fino al 38º parallelo, dove si ferma perché incontra gli americani, che la stanno occupando risalendo dalla regione meridionale.


Vengono creati due governi provvisori, uno a nord filo sovietico, l’altro a sud filoamericano. Ovviamente prevedendo che prima o poi si faranno libere elezioni per unificare il Paese. Nel 1947 l'ONU fissa le date per le elezioni generali, ma non se ne fa nulla perché ai suoi funzionari è impedito l'ingresso nella zona d'occupazione sovietica. La penisola coreana viene quindi divisa in due zone lungo la linea del 38º parallelo: nell'area settentrionale si insedia il governo comunista filosovietico con capitale a Pyongyang presieduto da Kim Il-sung e in quella meridionale un governo nazionalista filostatunitense con capitale a Seul presieduto da Syngman Rhee.


Entrambi gli Stati hanno, come priorità, il disegno della riunificazione nazionale. Ma nella storia della Corea sono state più le divisioni che le riunificazioni. In certi momenti sembra una copia dell’Italia medievale, con tanti staterelli. Sono contenti così, stando tra loro e rifiutando collegamenti esterni: una nave americana che si avvicina troppo è data alle fiamme; e un gruppo di missionari francesi è lasciato agire per un po’, poi vengono massacrati loro e tutti i coreani convertiti.

Le riunificazioni hanno sempre portato sfortuna: una sedicente/seducente imperatrice Myeongseong è assassinata da sicari giapponesi; e re Gojong, autoproclamatosi imperatore nel 1897, subisce prima l’influenza russa e subito dopo il protettorato giapponese, trasformato in un’annessione durata fino al 1945. Poi la divisione “provvisoria”, col confine al 38° parallelo.


Nell'ottobre 1949, incoraggiati dalla vittoria definitiva di Mao Tse-tung in Cina, i nordcoreani organizzano l'offensiva per annettere la parte meridionale della penisola. L’anno dopo aprono le ostilità. La guerra di Corea dura tre anni, dal 25 giugno 1950 al 27 luglio 1953.

L'invasione da parte dei nordcoreani determina una rapida risposta dell'ONU: su mandato del suo Consiglio di sicurezza, gli Stati Uniti, affiancati da altri 17 Paesi, intervengono militarmente nella penisola per impedirne la conquista da parte delle forze comuniste nordcoreane. Dopo grandi difficoltà iniziali, le forze statunitensi, comandate dal generale Douglas MacArthur, respingono l'invasione e proseguono l'avanzata fino a occupare gran parte della Corea del Nord. Interviene nel conflitto anche la Cina comunista, senza alcuna dichiarazione di guerra, ma inviando centinaia di migliaia di “volontari”, mentre l'Unione Sovietica fornisce reparti di aerei che contribuirono a contrastare l'aviazione nemica.


Le truppe dell'ONU sono costrette a ripiegare a circa 80 chilometri a sud del confine iniziale tra le due Coree. Il generale MacArthur, entusiasta per le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, propone di “spolverare” atomiche sulla Corea del Nord e sulla Cina e viene rapidamente sollevato dall’incarico. La guerra continua e la coalizione alleata perde e riconquista per quattro volte Seul. Alla fine si ritorna al 38° parallelo. La guerra è costata due milioni di morti per niente. Si arriva all’armistizio di Panmunjeom, che stabilizza la situazione e conferma la divisione provvisoria in due Coree. Armistizio ancora in vigore dopo quasi 70 anni.


Ogni tanto qualcuno parla di pace senza troppa convinzione. Hanno un’aria più convinta quelli che suggeriscono di riprendere la guerra… L'unico barlume di speranza viene dai giovani che si presentano insieme sotto una sola bandiera alle Olimpiadi. Ma c’è un interesse: così la Corea scala parecchi posti nel Medagliere.



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