Mario Raffaele Conti
L'utopia è naufragata, il “Sol dell'avvenire” è adesso, godiamocelo
Il presente non è come ce l'eravamo immaginato. Felicità è accettarlo così com'è
Non sentite mai la nostalgia agrodolce dei tempi dell’utopia? Quando questo sentimento fa capolino nella mia mente, oggi, dopo tanto lavoro su di me, riesco a mantenere una sana equanimità. No, non sento più quella nostalgia. L’ho provata a lungo, mi sono costruito possibili futuri che non erano tali, non ho trovato gli stargate per accedere a una realtà parallela come nel romanzo di Philip K. Dick La svastica sul Sole/L’uomo nell’alto castello. E per un solo motivo: perché se esistessero migliaia di realtà parallele alla nostra in cui si verificassero tutte le variabili delle nostre scelte, non sarebbero accessibili se non con la fantasia.
Nanni Moretti nel suo ultimo film Il sol dell’avvenire non si arrende alla dura realtà e, caparbiamente, immagina ciò che nella Storia non è stato, come se fosse vero. Ma ancora di più, rivela l’intimo fallimento delle utopie politiche e personali di due generazioni, la sua e la mia (e pure quella dei 50enni).
Tutti i sogni della gioventù degli Anni 60 e 70 (e anche 80) sono naufragati, come di solito i sogni fanno, del resto. Il sogno (ah, quanto l'ho amato!) non è ancorato nella realtà, non tiene conto delle variabili, va idealmente come “deve andare”, ha una sua perfezione insita perché realizza nell'irrealtà ciò che è utopico.
Ricordo che a 20 anni mi immaginavo come “doveva” essere la mia vita, in una comunità di amici in cui non si poteva che andare d’accordo, con la mia ragazza di allora con cui si doveva per forza andare d’accordo, a realizzare il nostro sol dell’avvenire, che non era l’utopia socialista tout-court, ma un’utopia socialista religiosa, quella cristiana. A seconda di chi interpellereste, vi darebbe la sua versione sul crollo di questo sogno: «È stata colpa di chi ha ceduto alle lusinghe del mondo», oppure «È stata colpa di chi ha abusato della nostra innocenza».
Ho recriminato a lungo sulle colpe morali degli uomini di chiesa, ma ormai ho capito che non serve più, almeno a me non serve, perché ho chiuso i conti col cristianesimo in modo pacifico e sereno. E perché comunque non serve. Sono certo che tutti i miei amici che a un certo punto non lo sono stati più solamente perché mi volevo aprire al mondo, erano in buona fede. Io ero in buona fede. Tornassi indietro farei quasi tutto ciò che ho fatto, soprattutto perché, per com’ero io a quell’epoca, non avrei potuto fare diversamente.
Ecco, secondo me questo è un dato importante: ho idea perfettamente dell’errore più grande della mia vita, so quando è accaduto e ora so anche perché l’ho commesso. Non si può fare la storia con i «se», Nanni Moretti lo sa bene e la sua forzatura serve per capirlo ancora di più.
Quella era l’epoca degli ideali, delle utopie, ed era tutto ineluttabile e già scritto. Eravamo tutti dentro una gabbia che dava molte sicurezze e che avrebbe causato molti guai. Più eri coinvolto, pasionario, entusiasta, e più ti saresti fatto male perché il tonfo sarebbe stato più forte. Non per tutti è andata così, alcuni che hanno continuato quel percorso hanno trovato un luogo accogliente che li ha fatti crescere nella fede. A me l’ha tolta. Per fortuna il divino è più forte e ha bussato nuovamente alla mia vita anche se in una forma totalmente diversa e non dogmatica (come dovrebbe essere, del resto).
Ma queste riflessioni mi portano a considerare le nuove generazioni, perché noi siamo ormai vecchi e quasi in via di dismissione, mentre i ragazzi che oggi si affacciano al mondo sono meno fortunati di noi. Tanti, troppi, non hanno ideologie o utopie. Tanti, troppi, pensano solo a fare una carriera che quella sì è sempre più utopia, e devono combattere con stipendi da fame e spese e futuri immaginari impossibili da sostenere. Fanno fatica a trovare «l’amorepersempre» e non perché noi avessimo più possibilità, anzi, anche quella per molti è stata una triste utopia e un tragico errore. Come si dice, “tornassi indietro” aspetterei i 40 anni a sposarmi, ed è questo che fanno in tanti oggi col risultato che nessuno fa più figli. Non c’è una soluzione logica all’imprevedibilità della sorte, che Hannah Arendt si dia pace, perché non c’è promessa che si possa mantenere a lungo.
La parola «per sempre» ha attanagliato molte generazioni, abbiamo aspettato tram che non sono mai passati e nessun dio ci ha tirato fuori dai guai, nonostante le molte assicurazioni dei suoi presunti emissari.
Oggi i ragazzi al «per sempre» non credono più e nemmeno al posto fisso perché non c’è più. Diremmo che non sono fortunati e un po’ è così, ma visto com’è andata a molti di noi, non possiamo sostenerlo con certezza. Di certo la loro condizione è molto più faticosa, è molto più ansiogena, ma offre anche molte possibilità. Possibilità di realizzare quello che uno realmente è, ammesso che lo sappia.
E qui siamo al punto cruciale. I nostri sogni si sono infranti, perché appartenevano ad altre persone, a una cultura, alla letteratura, all’ideologia, ma non erano i nostri; non facevano i conti con quello che realmente erano le persone, il carattere, l’educazione, la cultura personale, della famiglia, lo stato sociale. Noi chi eravamo veramente? Qual era la nostra caratteristica? In quanti sono stati capaci di riconoscersi e di seguire ciò che il cuore dettava dentro, senza paura? E senza fare disastri? Forse era ed è una missione impossibile.
Quando qualcuno sospira «Ah come vorrei tornare giovane...», gli rispondo sempre: «Io no». La fatica che ho fatto e quello che poi ho dovuto affrontare, le mie delusioni e le delusioni che ho dato, sarebbero troppo pesanti da vivere un’altra volta. Di certo questa fase della società e della storia costringe noi non-più-giovani e i giovani a ragionare e a guardare al presente in un modo differente, senza la certezza che il futuro sia quello percorso dai nostri e dai loro genitori, anzi con la certezza che non lo è sicuramente, che quello che attende tutti è un grande punto di domanda.
Quando nelle discipline orientali si parla di “distacco” probabilmente si dice questo, si dice che è totalmente inutile cercare di fare dei castelli in aria, di disegnare un futuro certo, perché nel certo c’è tutta l’incertezza della realtà e delle sue variabili.
Badate bene, non è pessimismo il mio. Disillusione, certo, ma credo che questo nuovo sentimento sia un dono. Mi consente di fare un bagno nell’umiltà, di fare i conti con le promesse che non avrei mai dovuto fare perché irreali e senza fondamenti, con i fantasmi che finalmente smettono di volteggiare.
È il momento – alla mia età, sì, e anche alla tua qualsiasi età tu abbia – di ridisegnare un pensiero, di guardare il mondo con gioia negli occhi, di provare a interpretare il presente senza pensare al futuro e neanche al passato. Il passato è tutto ciò che abbiamo potuto fare, nell’assenza di ciò che è stato impossibile fare. Lasciamo il passato alla Storia piccola o grande di ciascuno di noi e proviamo a guardare la bellezza del presente così com’è. Non è perfetto e tante cose mancano all’appello. Ma è anche tutto ciò che abbiamo. Senza promesse da mantenere.
