Da più di un mese scandaglio le diverse piattaforme streaming alla ricerca di qualcosa di bello da vedere e da recensire. La fine di Better Call Saul mi aveva lasciato quel senso di perdita e abbandono tipico della relazione intima che finisce perché deve finire, perché la fine è nella natura stessa di tutte le cose.
Ho visto tutta la prima stagione di Only murders in the building, ho tentato di perdermi in Andor e ho anche visto un film con Scamarcio (L’ombra del giorno) segnalatomi come ben fatto, ambientato nel periodo fascista. Considerato che adoro i romanzi, i film e i documentari sulla Seconda guerra mondiale non potevo non guardarlo. Ho anche visto House of the Dragons il prequel del Trono di spade. Tirando le somme non si è salvato niente.
Only Murders in the Building va visto in lingua originale, i dialoghi in italiano non si reggono. Ma in ogni caso è lento, non decolla, annoia.
Poi Andor, galassia Disney, partizione Star Wars, ovvero mucca da mungere whatever it takes. È la storia di un criminale che poi diventerà una figura cruciale per la resistenza all’impero.
Niente da fare. La noia. Trama fiacca, roba ritrita, guardo lui e vedo Narcos Messico. Mollato. Per quanto riguarda il film L’ombra del giorno è sicuramente un prodotto riuscito dal punto di vista della ricerca storica delle ambientazioni, dei costumi, delle abitudini e delle canzoni del ventennio. Ma i dialoghi e la trama stessa sono da fotoromanzo. Noia. Noia. Noia.
E veniamo a House of the Dragons. Avete presente i kolossal? Le produzioni cinematografiche mastodontiche tipo I 10 comandamenti, Cleopatra, Via col vento? Ecco, House of the Dragons è un kolossal delle serie tv. Dollari a palate spesi in genialate della computer grafica mixate con ambientazioni, costumi e trucchi estetici mirabolanti. Peccato che dopo le prime quattro puntate la storia viri nella banalità più assoluta. Sesso, potere, macchinazioni, manipolazioni. Sbadigli. Noia. Manca qualche puntata alla fine ma l’exit poll è chiaro. Non ci sono personaggi catartici ed evolutivi come Tyrion, manca l’ironia, manca il dharma. Vince l’assenza di idee originali.
Non ho mai capito quelli che appena muore il cane, o il gatto, ne prendono subito un altro. Ma non era unico? Non era speciale? Boh. Poi ho capito che col “pieno”, ovvero col nuovo, si cerca di colmare il vuoto lasciato dal vecchio, per mantenere quell’equilibrio emotivo che la nostra mente chiama stabilità. In sostanza reagiamo ad ogni perdita con un “riempimento”. Questo accade costantemente, anche con perdite più banali e materiali rispetto al nostro amico a quattro zampe. Il nostro mantra diventa «tristezza, per favore vai via». E a tal fine la nostra mente s’industria a trovare dei percorsi, a volte davvero incredibili, sulla via della compensazione. Il suo obiettivo è il mantenimento dello status quo, la riconferma dello stesso itinerario da A a B.
Attorno a noi tutto cambia ma questa nostra piccola mente si concentra nel perpetrare un senso di felicità standardizzato. Siamo come Ulisse, ma stavolta nessuno ci ha legato all’albero maestro della nave, e dunque il canto delle sirene, il canto di Raga (la reiterata ricerca del piacere) ci travolge. Non siamo più noi stessi. Altro che stabilità. Siamo immersi nella dualità. Siamo nei guai fino al collo.
E allora che dobbiamo fare per venirne fuori?
Niente. Assolutamente niente.
Ci dobbiamo fermare.
Accogliamo il vuoto del cane, del gatto, della serie bella che finisce. Resettiamo la mente. Versiamo qualche lacrima. Ritroviamo chi siamo, cosa vogliamo, tenendo conto della trasformazione che gli eventi hanno prodotto in noi. Invece di rifuggire il vuoto accogliamolo, curiamolo, lasciamo che si espanda, è il nostro contenitore del bello che verrà.
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