
La favola costituisce un genere letterario universale diffuso in tutto il mondo e in tutte le culture. Gli stessi temi della favolistica rivelano la necessità del genere umano di trasmettere valori, rassicurare nella relazione tra buoni e cattivi facendo scomparire questa dualità in un comportamento etico trasmesso dall’insegnamento che la favola vuole trasmettere in determinate circostanza. I fratelli Grimm, nella loro analisi antropologica del mito attraverso la favola, arrivarono a concludere che diverse aree geografiche distanti tra loro, avevano un patrimonio favolistico simile. Arrivarono a concludere che esistevano affinità tra i racconti, narrati in aree geografiche lontane tra loro, alla comune appartenenza alla famiglia linguistica indoeuropea. La trasmissione in luoghi distanti, di un patrimonio favolistico simile, è attribuita dai fratelli Grimm all’origine mitica del patrimonio favolistico: sono comuni a tutte le fiabe frammenti di credenza risalenti ai tempipiù antichi, con elementi spirituali espressi in forma figurata. I residui mitici, fonte di favole e racconti, furono dunque paragonati a tratti culturali, come fossili sociali presenti in aree geografiche con tratti culturali mitici comuni. Gli studi sono ancora vivi, ma tutti concordano nell’affermare che le fiabe e i racconti popolari racchiudono in sé reletti e residuiculturali antichi come il tempo degli dèi. Interpretare le favole indiane permette quindi di andare alle origini del mito e del rito.
In India, racconti, leggende e favole, hanno una considerevole popolarità, dove è stato attribuito valore terapeutico: i guaritori indù utilizzavano un ricco repertorio di fiabe per aiutare il paziente a individuare il modo per uscire dal proprio stato di angoscia. Una forma di terapia basata sulla capacità di immaginare, o di lasciarsi sedurre, dalle immagini, per curare i mali del fisico e della psiche. La narrazione di favole, novelle e apologhi rasserena i lunghi viaggi che gli indù sono soliti effettuare, rallegra il tempo libero e accompagna quotidianamente la cena, non solo dei piccoli. La vita dell’india è animata dalla poesia (kāvya), dal teatro (Natyashastra) e dalla favolistica.
Il patrimonio favolistico indiano è assai più ricco e multiforme di quello a cui noi possiamo solitamente attingere. La straordinaria ricchezza linguistica del subcontinente indiano fa sì che ognuno apprenda ben tre, o più, tradizioni favolistiche. Il bambino indiano, infatti, ascolterà dapprima le favole narrate dalla lingua materna dei parenti, in particolare dalla nonna, e dagli ospiti. Questi racconti, dall’effetto formativo e ipnotico, hanno per protagonisti personaggi di tutte le caste, e di tutte le età, figure anonime, impegnate in vicende ispirate alla vita quotidiana in cui i vari componenti della famiglia possono facilmente immedesimarsi. A questo ricco insieme di storie popolari, oralmente trasmesse, e sovente entrate nel repertorio dei cantastorie, si uniscono le favole e le fiabe. Riferimenti favolistici li abbiamo nel RgVeda, in testi jainisti e buddhisti, sino alla Bhagavad-Gītā, dove Bhisma prima di morire trasmette i segreti dell’umanità sotto forma di favole. La favolistica educativa in India si presenta nel Pañcatantra e nell’Hitopadeśa.
Vi inizio a raccontare la favola d’amore più antica dell’India: la storia d’amore tra la ninfa celeste Urvashi e il re Pururavas.
Urvashi era un’apsaras, la prima delle ninfe celesti. Di lei si parla già nel Rg-Veda, che le dedica, fra l’altro, un intero inno (X.95) nel quale la ninfa dialoga con il re Purùravas, che diverrà suo sposo. La loro vicenda verrà ripresa molte volte, e arricchita di particolari, nella letteratura indiana successiva (per esempio nel Mahabharata e nei Purana) fino a costituire la trama del Vikramorvashì, un importante e piacevole opera di Kàlidàsa, grande poeta e drammaturgo indiano (vissuto probabilmente tra la fine del IV e gli inizi del V secolo d.C.). Numerosi miti hindu narrano che le apsaras venivano inviate dagli dèi a disturbare gli asceti e a tentare di distoglierli dalla meditazione.
La preoccupazione degli dèi era infatti che gli yogin progredissero troppo nella pratica del tapas (il calore generato dalle pratiche ascetiche) e acquisissero in questo modo un eccessivo potere magico. La storia di Urvashi e Purùravas è connessa anche con l’accensione del fuoco, giacché coi loro nomi vengono indicati talora i due legnetti che si sfregano per attivare i fuochi sacrificali, e che creano le scintille che diventano fuoco.
Le apsaras generalmente sono raffigurate di una bellezza indescrivibile, e conoscono le arti del “incanto, la seduzione e intrattenimento” attraverso la musica, la danza ecc. Per questo motivo venivano inviate agli yogin per sviarli dalle loro pratiche ascetiche, nella speranza che si perdevano nel loro fascino e la loro bellezza. Urvashi (la più bella delle apsaras) ci può mettere in contatto con le nostre attitudini, poteri e virtù femminili d’incanto e seduzione.
BIBLIOGRAFIA
Boccali, Piano, Sani Le Letterature dell’India (UTET).
Nārāyaṇa, Hitopradesa Il saggio consiglio (EINAUDI).
Jambhaladatta Gli enigmi dello spettro (MARSILIO).
Patrick Olivelle Pañcatantra: The Book of India’s Folk Wisdom (OXFORD UNIVERSITY PRESS).
Le magnifiche vite precedenti del Buddha – I jataka a cura di Genevienne e Tea Pecunia (RIZZOLI).
Gabriella Cella Yoga-Ratna, il gioiello dello Yoga (FELTRINELLI).
Il leggendario Yogi immortale è l’essere umano che completa l’evoluzione con la padronanza delle energie interiori e la realizzazione del Sé. E molte scuole tamil sostengono che il Kriya Yoga, reso famoso da Yogananda, abbia radici nel “Siddha Yoga” tamil...
Questo è un po’ il manifesto dello yoga che pratico e che insegno da quasi trent’anni. Lo yoga si occupa della domanda essenziale che abita ogni essere umano. Del mistero del vivere, del mistero dell’essere coscienti. Del “chi” siamo e “come” siamo. La parola “Yoga” indica uno stato, uno stato fondamentale della coscienza. Non è un percorso che conduce da un luogo a un altro, e neppure una ricerca di benessere. È la possibilità di essere consapevoli di essere vivi e di come lo siamo. La possibilità di sentirsi espressione di una realtà indivisa. La pratica di Yoga si fonda sull’Osservazione e sul Cambiamento.
Lavoro con la voce da cinquant’anni. È stata la mia compagna, la mia arma gentile, il mio specchio: la radio, la tv, il canto. Con la voce ho raccontato e ascoltato, ho cercato emozione, ritmo, verità. Ma più la uso, più capisco che la voce non è solo suono: è respiro che si manifesta, corpo che vibra, anima che prende coraggio e decide di farsi sentire. È la forma più diretta di presenza
La speranza di una donna che è scappata dall'orrore e ha cercato un futuro con i suoi figli su un'isola della Grecia. Ma ha lasciato l'amore della sua vita e non vuol sapere che lo rivedrà solo come nuvole nel cielo...
Per invecchiare meglio bisognerebbe leggere più libri sulla biologia e guardare meno pubblicità. Facile a dirsi, un po’ meno a farsi. Perché i condizionamenti sociali sono enormi. Ma a prescindere dallo sviluppo tecnologico che l’umanità ha raggiunto, le domande sulla vita e sulla morte rimangono le stesse. Perché nasciamo, perché moriamo? Ai quesiti esistenziali senza tempo rispondiamo con trapianti e i ritocchi, mentre dovremmo imparare a meditare...
Mahavatar Babaji, il guru di Lahiri Mahashaya che ha portato il Kriya Yoga in tutto il mondo, è il protagonista di un nuovo libro scritto da Jayadev Jaerschky. Che ci spiega chi è quest'essere leggendario che Yogananda descriveva come «simile al Cristo»



