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  • Immagine del redattoreRiccardo Serventi Longhi

Evolvere significa Amare

Combattiamo tutto. Combattiamo a prescindere. Combattiamo perché crediamo sia giusto. Perché crediamo sia sbagliato. Perché crediamo. Perché non crediamo. Perché…


Perché combattiamo? Perché ci opponiamo? Perché non riusciamo a vivere senza la battaglia che, presto o tardi si ripresenta riportandoci nel disagio, nella sofferenza?


Nasciamo laddove c’è materia per crescere. Ogni seme che germoglia lo fa, ma ha bisogno del terreno, del nutrimento, della condizione adatta al suo sviluppo. Allora addirittura la difficoltà ne rinforzerà la specie senza annientarlo.

Come nella parabola del seminatore, l’evoluzione avviene in chi accoglie il senso che attraversa le cose, che se ne lascia attraversare cogliendone l’indicazione per la propria continua rinascita.


Ognuno di noi nasce laddove era necessario affinché il sentiero della nostra essenza (Atman) possa manifestarsi pienamente; qualcuno afferma che la nostra anima scelga esattamente il nucleo familiare in cui nascere per sperimentare le esperienze necessarie per progredire, spiritualmente e umanamente di conseguenza. Secondo questa interessante teoria, ognuno di noi dovrebbe rimboccarsi le maniche e osservare croci e delizie dal proprio nido natio fino agli incontri più apparentemente insignificanti. Così come ogni evento che viviamo, se evitiamo di catalogarlo nel file «coincidenze-Jella-fortuna» potrebbe essere osservato come step di ascolto-osservazione. Come quelle panchine nei sentieri di montagna, messe lì per soffermarsi nella contemplazione di orizzonti infiniti, prima di ripartire.


«Evolvere», nel suo più alto significato, vuol dire «Amare». Evolviamo quando la nostra capacità di amare diviene libera da confini, dove l’espansione perde il suo percorso mentale e si apre esponenzialmente. In ogni direzione. Come se il cuore (Anahata, l’energia dell’amore incondizionato), immaginandolo come un calice, una parabola ricettiva ed emittente, si aprisse a tal punto da non potersi più richiudere. Una porta spalancata su tutto. «L’Uomo Nuovo» è auspicabile che sia qualcosa del genere, piuttosto che un genio onniscente con difficoltà relazionali.


La teoria della reincarnazione indica la rinascita come la via maestra per il ritorno a casa. Per interrompere ciò che noi crediamo (e per carità lo è almeno per il sottoscritto) la cosa più bella che ci potesse capitare, ovvero la vita, ma che man mano che la percorriamo diventa una cosa terribile perché saremo costretti a lasciarla.


Ma in questo tempo X che trascorriamo qui, stiamo solo aspettando di andarcene? E dove sarebbe la scelta? Perché trascorriamo anni, a volte tutta la vita, nel perenne, latente conflitto? Cosa combattiamo?


Nei reincarnarsi, la nostra anima prenderebbe corpo nella sfida a cui non abbiamo ancora dato una risposta. In cui ci “incacagliamo”. Come se se l’andasse a cercare, e forse ce lo fa fare (ringraziando il cielo, comanda lei anche se non ce ne accorgiamo), affinché possa accadere qualcosa. Un risveglio.


Vivo personalmente questa esperienza di “incagliamento” ogni qual volta si presenta un conflitto. E più la difficoltà coinvolge la sfera emotivo-affettiva (ma so che la mia anima ha scelto per me l’occasione per brillare), più è evidente. Quando mi sto per preparare a combattere. Ho iniziato da tempo ad accorgermi coscientemente che la dinamica si sta per accendere. Quando sta per arrivare l’incaglio. Lo sento chiaramente! Vi capita?


E ci sono spiragli di Luce. Comincio a non farmi ingabbiare dall’azione dell’ego, su quel binario. Non sempre ancora, ma accade. Trattengo, senza reprimere, ma osservando e allentando la presa, le redini della reattività verso la libertà del lasciare andare il fuoco del «È come dico io» interiore che vorrebbe bruciare ciò che si oppone (Vairagya, lo stato in cui si spegne l'eccitazione).


Credo che la meditazione sia un po’ questo in fondo, nella pratica della vita: liberarsi di quello stato della mente che incanala nel solco. O forse ne è il dono.

Quando deviamo dalla ripetitività del difendersi, appare l’Amore.

Ho amato Paramhansa Yogananda perché in lui ho compreso il Samadhi come lo stato dell’Amore più alto. L’esperienza dell’unione col Tutto. Con la forza generante della vita. Dio. Cos’altro può essere Dio se non amore, accettazione, accoglienza, creazione, dono, entusiasmo, meraviglia, aldilà di ogni limite o catalogazione o necessità di paragone (che avviene nella nostra mente in ogni istante) o tornaconto?


Ogni volta che ci “incagliamo” quindi, in un conflitto (per esempio con un genitore, o un partner, o un figlio/a, un collega, etc...) invece di «perché ancora questo dolore?», «Perché proprio a me?», potremmo domandarci: «Cosa posso imparare da ciò che sta accadendo?», «Come posso saltare fuori dal solco della dinamica?», «Perché se si sta verificando è perché ne ho bisogno per VEDERE e cambiare?». Possiamo espandere in noi la capacità di osservarci dall’esterno. Di fermarci e guardarci come se l’evento in corso stesse accadendo a un amico o amica e potessimo finalmente suggerirgli una soluzione.


Inizio a riuscirci, ne sono profondamente felice perché comprendo che il senso dell’esistenza potrebbe essere semplicemente racchiuso in questo segreto: venire al mondo per diventare Pace.


Non è così scontato e non accade immediatamente né sempre. Mi guardo da fuori quando ci casco e mi dico: «Ora, non la prossima volta, ORA, che altra direzione posso prendere per aprirmi all’amore?». Perché sono io a poterlo fare, Lui (l’Amore) è già ovunque. È l’ego che si oppone a tutto ciò che non gli corrisponde nell’immediato. L’ego si nutre di ragione-torto.


L’altro non è da abbattere, da eliminare fosse solo nella sua opinione o carattere. È il confine di sicurezza coniato dalle certezze e dalle abitudini che poniamo fra noi e gli altri da abbattere. I muri di per sé non esistono.

Devo ricordarmelo nella prossima vita.

Intanto grazie per questa.



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