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  • Immagine del redattoreMario Raffaele Conti

Chi l'ha detto che il Natale è il giorno più felice dell'anno? (Cinque consigli per sopravvivere)

Oggi in treno pensavo che abbiamo perso il senso della realtà. Che questa è la patologia di questa civiltà del benessere. Lo sappiamo, perché in molti hanno visto nonni felici col niente che avevano, e nipoti insoddisfatti dal tutto.

Perdere il senso della realtà porta a dare per scontato ciò che c’è, a non vedere le ricchezze che ogni giornata ci dà, a vivere qualsiasi dono come una panacea che non ha il potere di guarire. Perché diamo a ciò che non abbiamo - o abbiamo perso - un valore irreale.


Identifichiamo il nostro essere e il nostro vivere con un oggetto, con un sentimento, con una relazione, che, per quanto grandi possano essere, non possono determinarci.

Ma è l’errore che facciamo ogni giorno.


I saggi ci dicono di andare oltre la soglia dei sensi, ma i diktat non funzionano, abbiamo capito che la privazione imposta da una regola non produce nulla di buono e che solo l'esperienza insegna e libera. Solo l'esperienza viscerale, avvolgente, profonda, emotiva, sensibile insegna e può contagiare chi ci è vicino, lo avete notato anche voi? «Fare esperienza» è quello che in altri termini definirei «risveglio». Come Biancaneve, risvegliarsi e provare una gratitudine così grande verso tutto e tutti che cambia lo sguardo su di noi e sugli altri (nei limiti nostri e degli altri: i miracoli sono possibili, ma è meglio non contarci).

Ora si parla di realtà aumentata, di metaverso, di post-verità, e ci pare di avere un futuro accattivante tra le mani. Ma mentre i nostri nipoti si alieneranno con un paio di occhiali che li porteranno in un nuovo mondo illusorio, l'umanità dovrà affrontare sfide reali che necessitano grande consapevolezza e presenza mentale.


Le sfide hanno bisogno di gente che abbia a cuore le necessità altrui. Per raccoglierle è necessario aprire gli occhi ed espandere la coscienza, uscire dall’inganno che è il demone da esorcizzare in questo scampolo del 2022, osservarsi dentro non per battersi il petto, ma per prendere coscienza della nostra realtà, di ciò che siamo davvero.

A questo pensavo oggi in treno.

E pensavo che tra poco è Natale e per qualcuno è il periodo più difficile dell'anno perché lo abbiamo capito che la famiglia Mulino Bianco è rimasta negli spot.


Che senso ha il Natale con il discorso della realtà e del metaverso? C'entra.

Perché tanti aspettano il Natale come nel sabato del villaggio e quando arrivano a 25 sera si ritrovano sul set di Venerdì 13.

Perché le attese sono tantissime, i ricordi dei Natali felici anche, le aspettative su questa festa infinite, i rimpianti e le nostalgie non si contano. Ed è il giorno in cui ci si conta e “conta” più chi non c'è, la sua sedia vuota pesa più di quelle di chi c'è ancora.


È un giorno difficile il Natale per chi ha più di 40 anni, per chi ha sofferto, per chi ha perso una persona cara, per chi vede svuotarsi la propria storia e si accorge di essere in prima fila, di essere quello o quella di cui tra qualche anno sentiranno la mancanza.

Il Natale è la prova del divenire inesorabile e inarrestabile della realtà, è il momento in cui i nodi tornano al pettine, in cui quello che si è celato durante l'anno sale in superficie e non possiamo non vederlo.

La poesia del Natale è per i bambini che non hanno avuto questi dolori. Per tutti gli altri, la “mangiatoia” si svuota, non si riempie di un bambino divino (per chi crede che lo sia, sennò neppure quello).


Penso a coloro che sono rimasti soli. A coloro che non possono condividere perché i loro cari sono lontani. Alle famiglie allargate che con difficoltà riescono a unire i cuori di tutti. Alle famiglie in cui c'è qualcuno malato. A coloro che hanno problemi economici o hanno guai pratici di difficile o nessuna soluzione. «È Natale, non soffrire più» è il verso di una canzone che, passato sotto l'occhio della realtà, suona come una beffa. E non è l'unica.


Che soluzione abbiamo tutti? La fede anestetizza i problemi o aiuta, ma chi non è cristiano, o lo è solo di nome, cosa può fare?

Mi sono interrogato a lungo e ho fatto anche esperienza. Ho capito che il Natale è una convenzione mentale, culturale, tradizionale. Ma le convenzioni le fanno gli uomini e gli uomini le accomodano o le cambiano. Allora per noi uomini e donne comuni, una soluzione che ho trovato è rendere relativo quello che la convenzione assolutizza.


Permettetemi di dare qualche consiglio che ho adottato io in un Natale piuttosto difficile, ricordando i Natali dolorosi (tantissimi) in cui non mi arrendevo alla realtà delle cose. Se non vi servono, gettateli via.

  1. Se non puoi vivere il Natale dei tuoi sogni, fai uscire questo giorno di Natale dai sogni e portalo nella realtà.

  2. Vivilo come un giorno qualsiasi in cui qualcuno si ritrova con altre persone, condivide un pranzo o una cena e poi torna a casa come una domenica qualsiasi a vedere un film.

  3. Se fa male, non fare l'albero di Natale, non perdi nulla, è solo - anche questo - tradizione, ma sei più importante tu.

  4. Se hai bambini fallo per loro come fosse la festa di Carnevale (con rispetto parlando), una tradizione cui gli adulti possono rinunciare.

  5. Non dare “importanza” a quel giorno perché i tuoi ricordi ti obbligano a pensare il contrario.

Il Natale (non religiosamente parlando) andrebbe sostituito con la festa dell'amore che ognuno può festeggiare con chi vuole e quando può. O con una festa del Ringraziamento in cui ringrazi, cioè doni, non pretendi di ricevere doni. Ma i tempi per cambiare le tradizioni non sono quelli di una vita umana. Nel frattempo possiamo solo fare un sorriso al Natale che arriva. Qualunque realtà ci porti. Tanto passa.



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